Tonya: la vita della pattinatrice tra violenza e resilienza
Margot Robbie è Tonya Harding nel film del 2017 di Craig Gillespie. Il biopic racconta la vita della pattinatrice divenuta tristemente celebre in seguito all’aggressione ai danni della rivale Nancy Kerrigan; aggressione che lo sceneggiatore Steven Rogers ricollega alla relazione violenta e distruttiva tra la Harding e il marito Jeff Gillooly.
I, Tonya: una storia di passione e di sofferenza
Tonya ha quattro anni quando viene iscritta a un corso avanzato di pattinaggio. Veloce, resistente e capace, Tonya pattina per tutta l’infanzia e l’adolescenza, spronata da una madre violenta e intransigente (qui interpretata dall’incredibile Allison Janney). È proprio quest’ultima a influenzare maggiormente la crescita di Tonya, che ne prende in parte l’atteggiamento rozzo e scorbutico. E che per questo viene spesso osteggiata dai giudici durante le competizioni di pattinaggio.
L’incontro con Jeff Gillooly (Sebastian Stan), la relazione insana e il matrimonio stretto per fuggire al dominio della madre portano Tonya a una vita adulta caratterizzata ancora di più dalla violenza. Fino a trascinarla nei tragici eventi che hanno portato all’aggressione della Kerrigan nel 1994 e alla fine della brillante carriera di una delle poche pattinatrici in grado di compiere un triplo axel in competizione.
Un biopic di denuncia e riscatto
Se già guardando il film si intuisce l’intento di denuncia di Gillespie, è necessario guardare un’intervista alla Harding per comprendere che Tonya (I, Tonya in lingua originale) è anche e soprattutto una storia di riscatto. La vita della pattinatrice tristemente nota soprattutto per quell’aggressione è infatti sviscerata nelle due ore del film in tutti i suoi dettagli più crudi.
Dall’infanzia opprimente accanto a una madre violenta, all’età adulta trascorsa in una relazione altrettanto violenta e tossica. Il tutto all’ombra di una carriera nel mondo del pattinaggio artistico che le ha permesso di toccare più volte le vette mondiali. Tonya Harding è qui rappresentata soprattutto come una vittima delle circostanze; una ragazza prima, e una donna poi, distrutta da un ambiente tossico e privo di vie di fuga.
Realtà e finzione narrativa si intrecciano nella sceneggiatura di Steven Rogers; che sceglie di ricostruire i fatti a partire dalle interviste (reali) rilasciate dalla Harding e dall’ormai ex-marito in seguito all’aggressione alla Kerrigan. Proprio quest’ultima, che fino ad ora era l’unica vittima certa degli eventi, diventa qui marginale e secondaria, mentre Tonya e la sua vita conquistano l’intera scena.
Margot Robbie e la sua Tonya
Per impersonare Tonya Harding, Craig Gillespie ha scelto Margot Robbie. Un’attrice che già avevamo imparato ad amare in ruoli controversi come quello di Harley Queen. E che in questo film dà il meglio di sé, costruendo una versione cinematografica della Harding che non può che conquistarci. Emotiva, tenace, resiliente e soprattutto rozza, la sua Tonya brilla di passione sullo schermo, dando riscatto a una donna che, nonostante tutto, ha fatto la storia del pattinaggio.
Anche se non si è aggiudicata l’Oscar (l’unico effettivamente vinto dal film è quello meritatissimo di Allison Janney), Margot Robbie mostra con questo film tutto il talento del quale è dotata. Regalandoci una versione di Tonya Harding che, altrimenti, nessuno avrebbe forse messo in luce. Vera e no, edulcorata o no, la vita della Harding è una storia che non possiamo proprio perdere.
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