La Storia della Filosofia Occidentale – Capitolo XII: Socrate (III Parte)

Nell’ultima parte della nostra breve rassegna su Socrate, proveremo ad indagare le cause che hanno portato alla sua accusa ed in seguito alla condanna a morte per mezzo dell’avvelenamento con la cicuta.

Come sempre, ogni evento deve essere inquadrato nel contesto in cui si manifesta. Nel caso della Atene del 399 a.C, è bene ricordare come, dopo la sconfitta nella guerra del Peloponneso e l’instaurazione dei famosi Trenta Tiranni, lo stesso popolo aveva in seguito rovesciato questo sistema oligarchico a favore della democrazia.

Inoltre, la coesione sociale ateniese poneva ancora le sue basi in una tradizione religiosa che in pochi, all’epoca, avevano interesse a scalfire in qualsiasi modo.

Socrate tra politica e religione

Proprio in base a queste premesse, la figura di Socrate è da inquadrare come una mina vagante per il governo dell’epoca. Socrate non solo non si era opposto più di tanto al regime filospartano presente prima della restaurazione della democrazia, ma criticava spesso le procedure di quest’ultima.

Non meno importante, il filosofo ateniese riteneva gli antichi dèi solo come una manifestazione della divinità.

Vicino agli dèi antropomorfi “classici” solo da un punto di vista formale, Socrate soleva parlare spesso (come ci viene narrato nell’Apologia di Socrate di Platone) di un dèmone che sin da piccolo gli suggeriva la scelta più adeguata nei momenti più importanti della vita.

Un qualcosa, il dáimōn, che andava oltre il semplice richiamo morale o la voce della coscienza, ma diventava per Socrate un vero e proprio concetto di natura religiosa che trascendeva l’essere umano.

Il processo a Socrate e la condanna a morte

Furono le tante antipatie accumulatesi, e la natura inquisitoria della sua perenne indagine sull’uomo, a portare alla fine i democratici oltranzisti Meleto, Anito e Licone a formulare ufficialmente l’accusa nei confronti di Socrate, reo di non riconoscere le divinità tradizionali ateniesi e di corrompere i giovani promulgando dottrine diverse da quelle previste ad Atene.

Ma la scelta di morire, per quanto ci è concesso sapere da Platone, alla fine fu di Socrate stesso; sarebbe potuto scappare, andare in esilio, oppure avrebbe potuto commutare la pena in una sanzione di tremila dracme.

Socrate, invece, non accetta vie di mezzo, e si espone a tal punto, nel corso del processo, da definirsi meritevole di essere nutrito nel Pritanèo con soldi pubblici, in virtù del compito educativo con il quale arricchiva la gioventù ateniese, e al quale non avrebbe mai rinunciato.

Sprezzante delle accuse, indipendente e politicamente troppo pericoloso, ma soprattutto rispettoso delle stesse leggi che lo condannavano; Platone stesso ci spiega come il suo maestro non sarebbe mai potuto fuggire. L’uomo, secondo Socrate, è tale solo se rapportato con la società, e chi rifiuta le leggi del proprio Stato di appartenenza, di fatto, smette di esserlo.

Dopo aver salutato in cella i suoi allievi, Socrate ingerirà la cicuta che porrà fine alla sua vita sulla terra, ma non ad una figura rivoluzionaria che ancora oggi stupisce ed influenza il mondo intero.

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