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Tessuti molli in un’ammonite rivelati da innovative tecniche di imaging

I fossili preservano di solito i tessuti più resistenti delle creature vissute milioni di anni fa, come le ossa o i gusci. Trovare tracce dei tessuti molli è un’eventualità assai rara ed è per esempio il maggior motivo d’interesse suscitato da Ciro, piccolo dinosauro trovato in Italia. Nel caso dell’ammonite i casi sono davvero eccezionali, ma oggi i ricercatori hanno ottenuto un risultato eccezionale grazie a nuove tecniche di imaging.

Le ammoniti popolarono gli oceani per quasi 350 milioni di anni, si estinsero circa 65,5 milioni di anni fa, e rappresentano forse l’esempio più comune e diffuso di fossile trovandosi ovunque e in quantità. È quindi apparentemente paradossale che proprio di loro sappiamo in realtà relativamente poco, potendo basare gli studi solo sulla conchiglia: i tessuti molli di questo piccolo animale marino deperiscono con grande facilità.

È la prima volta che il tessuto molle di un’ammonite viene visualizzato in tre dimensioni

Il campione oggetto della ricerca da parte di un team di paleontologi britannici era stato rinvenuto nel 1998 nel Gloucestershire, nel sud-ovest dell’Inghilterra. In realtà già si sapeva dell’esistenza di parti molli in questo esemplare, ma i ricercatori decisero di resistere alla tentazione di aprirlo per poterlo esaminare rischiando però così di danneggiarlo in modo irreparabile e perdere proprio le informazioni che stavano cercando.

Le tecniche di imaging disponibili vent’anni fa si erano infatti rivelate insufficienti a effettuare una scansione 3D di qualità adeguata allo scopo. La pazienza nell’attendere che la tecnologia progredisse in settori diversi dal proprio premia oggi i paleontologi: il metodo utilizzato consiste nell’accoppiare immagini ad alta risoluzione ottenute con una radiografia ai raggi X con l’imaging neutronico, una tecnica radiografica e tomografica recentemente sviluppata.

L’analisi di quella sezione di cinque centimetri all’interno del guscio ha restituito un modello tanto dettagliato da permettere ai paleontologi di desumere il funzionamento dei muscoli e degli altri organi interni dell’ammonite: la disposizione e la forza dei muscoli suggeriscono essa si spostasse espellendo acqua dall’iponomo, un sifone ubicato in prossimità dell’apertura sulla conchiglia, come fanno oggi alcune classi di molluschi acquatici compresi i cefalopodi cui le ammoniti stesse appartengono.

L’ammonite oggetto della ricerca risale al Giurassico

Le immagini rivelano inoltre la presenza di due muscoli che si estendono dal corpo dell’ammonite utilizzati per ritrarsi all’interno della conchiglia come forma di protezione dai predatori. Probabilmente l’unica forma di difesa disponibile poiché non sono state trovate tracce per esempio delle sacche di inchiostro sfruttate oggi da calamari, seppie o polpi.

Si è usato il moderno Nautilus come schema di paragone, ma sono emerse differenze molto più significative di quanto si supponesse, come la presenza nell’ammonite di muscoli non presenti invece nel Nautilus. Nel complesso, le ammoniti paiono anche essere più vicine ai Coleoidea, sottoclasse dei Cefalopodi che include proprio i summenzionati calamari, seppie e polpi.

Questa ricerca dimostra le potenzialità insite nella combinazione di tecniche diverse di imaging, che rendono possibile un’analisi senza precedenti sulla struttura interna dei tessuti molli preservati in forma fossile. Un’enorme passo avanti per gli studi paleontologi, derivante da proficue ricerche interdisciplinari.

Fonte: Correlative tomography of an exceptionally preserved Jurassic ammonite implies hyponome-propelled swimming, Geology (2021)

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