Innovativa ricerca porta a prevedere i brillamenti solari con diverse ore di anticipo
Un brillamento solare è un fenomeno in seguito al quale una massiccia quantità di energia elettromagnetica viene convertita in energia cinetica, con rilascio di radiazioni lungo l’intero spettro elettromagnetico (inclusi i raggi gamma, i raggi X e le onde radio), flussi di particelle accelerate ad alta energia e, spesso, eiezioni di plasma.
Il Sole ha un ciclo naturale di attività di 11 anni, che coincide con l’apparire e lo sparire delle macchie.
L’evento si verifica nello strato più esterno del Sole, la corona, e hanno origine in una sorta di innesco che si verifica quando macchie solari (più formalmente denominate aree attive) dotate di polarità opposte si avvicinano l’una all’altra e, in seguito a un fenomeno fisico denominato riconnessione magnetica, i campi magnetici in esse vorticanti si uniscono a formare uno schema a doppio arco, una sorta di gigantesca M.
L’intero processo una volta avviato ingenera una serie di eventi a catena che lo amplificano fino all’esplosione finale, una sorta di intenso lampo di materia ed energia.
Durante lo scorso ciclo solare sono stati rilevati circa 50 brillamenti di grande intensità (quelli a bassa intensità sono molto più frequenti) ed essi possono rappresentare un problema sia per la sicurezza degli astronauti all’opera parzialmente o totalmente al di fuori della protezione del campo magnetico terrestre, che per le comunicazioni tramite onde radio dalle quali oggi dipendiamo fortemente.
Il rischio del “fucile puntato”
L’espulsione di massa coronale, di radiazioni elettromagnetiche e di particelle cariche per fortuna quasi sempre non è indirizzata verso la Terra, in fondo siamo un puntino un milione e trecentomila volte più piccolo del Sole.
Tuttavia un impatto diretto si è già verificato anche in tempi recenti: nel 1859 quello noto come Evento di Carrington fece saltare le linee telegrafiche, sovraccaricandole in modo tale che in esse circolava energia anche se spente, e si verificarono fenomeni come un’aurora eccezionalmente visibile laddove solitamente è impossibile, come in Italia stessa.
Se capitasse oggi le conseguenze potrebbero essere molto più gravi e a lungo termine, vista la sopraggiunta dipendenza dall’energia elettrica e dalle comunicazioni. Se un sovraccarico come quello del 1859 colpisse le linee elettriche odierne, per esempio, i danni sarebbero tali da richiedere anni per porvi rimedio e un’ingente spesa, con tutto ciò che ne consegue a livello di sicurezza. Ma anche una tempesta solare moderata potrebbe causare diverse ore di black-out, evento meno grave in assoluto ma anche più probabile.
L’eventuale preavviso di soli pochi minuti sarebbe del tutto insufficiente per predisporre efficaci contromisure, sia a terra che, per esempio, a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Da qui la necessità di previsioni meteo stellari in grado di anticipare il più possibile lo sviluppo del fenomeno.
Lo studio si basa sui dati raccolti durante un intero ciclo solare
Ecco quindi l’importanza della ricerca effettuata tramite strumenti come il Solar Dynamics Observatory (SDO) della NASA dal team guidato dal dottor Kanya Kusano, direttore dell’Istituto per Ricerca Ambientale Spaziale-terrestre dell’Università di Nagoya, Giappone.
Focalizzando l’osservazione su sette aree attive sulla superficie del Sole durante l’ultimo ciclo, i ricercatori hanno testato la validità dello Schema K che con l’analisi dei cambiamenti nello schema delle linee magnetiche vorticanti nelle macchie solari permette di identificare dove e quando si dovrebbe verificare un brillamento di grande intensità. Il procedimento ha il vantaggio di affidarsi a metodi di osservazione già disponibili e consolidati e nel periodo fra il 2008 e il 2019 ha predetto correttamente sette eventi su nove nelle zone scelte per la loro posizione favorevole rispetto alla Terra, con tre falsi positivi.
I due eventi non previsti presentano la peculiarità di essere estesi a una superficie molto ampia e di non aver generato un’espulsione di massa coronale.
Naturalmente anche queste sono indicazioni per approfondire ulteriormente le ricerche, ma intanto il sistema predittivo messo a punto dal team del dottor Kusano si è dimostrato in grado di fornire un preavviso fino a venti ore prima che gli effetti si facciano sentire sul nostro pianeta, rispetto ai dieci minuti o meno attuali.
La ricerca è apparsa il 31 luglio 2020 su Science
Di Corrado Festa Bianchet