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La pareidolia (Parte I): l’illusione nella percezione della realtà e il suo significato evolutivo

Sin dall’alba dei tempi, gli uomini hanno spesso osservato il cielo per provare a conoscere il proprio destino, cercando di trovare un senso davanti ad elementi della realtà che li lasciavano dubbiosi.

Non solo le stelle, sicuramente più ricche di informazioni, ma anche le semplici nuvole hanno raccolto da sempre l’attenzione di chi le fissava, impegnato nella ricerca di improbabili significati nella loro forma.

La pareidolia (detta anche illusione pareidolitica) consiste in un fenomeno psicologico che porta gli esseri umani a rintracciare delle configurazioni note all’interno di oggetti dalla forma casuale. Molto spesso la percezione erronea porta gli individui a vedere un volto dove in realtà non c’è.

Con il termine apofénia, invece, si descrive il più generico riconoscimento di connessioni tra dati ed elementi che in realtà non hanno nessun legame. Soprattutto nella ricerca, è ricorrente il classico errore chiamato falso positivo, che porta ad accettare un’ipotesi che non è davvero valida.

Il complesso processo cognitivo che attribuisce significato a degli stimoli vaghi si basa su una serie di schemi mentali che riguardano le figure conosciute meglio. È possibile comprendere facilmente come la la pareidolia dipenda quindi dall’influenza delle proprie rappresentazioni sulla realtà esterna.

Sono molteplici gli esempi che rimandano a fenomeni di tipo visivo, i quali spaziano dalla tipica percezione delle finestre di una casa come degli occhi, fino a delle percezioni erronee che sono diventate celebri col tempo.

Un caso su tutti può essere considerato quello dalla foto che fu scattata nel 1976 dalla sonda spaziale Viking 1. L’ampia area situata nella regione di Cydonia fu denominata, proprio per il suo aspetto, il Volto su Marte.

Addirittura, in Giappone esiste un museo “dedicato” alla pareidolia; più precisamente alle jinmenseki, delle pietre naturali che sembrano raffigurare facce umane, raccolte ed esposte nella città di Chichibu.

Nonostante la versione più conosciuta di questa distorsione sia quella visiva, l’illusione può presentarsi anche per quel che riguarda l’udito. Ad esempio, la celebre Scala Deutsch comprende tre linee melodiche presentate consecutivamente.

La terza linea proposta, anche se derivata dalla sovrapposizione delle prime due, sembra essere composta da melodie sconosciute all’orecchio dell’ascoltatore.

Dal punto di vista evolutivo, l’effetto che ci porta a scorgere schemi familiari è stato spesso attribuito al vantaggio di poter comprendere se una situazione sta diventando pericolosa.

La possibilità di individuare un predatore nascosto oppure mimetizzato è solo uno degli esempi di come questo fenomeno possa essere stato di vitale importanza per la sopravvivenza della nostra specie.

Oggi sono soprattutto alcuni lavori artistici, così come le risate derivate dal notare come un lavandino assomigli ad una faccia perplessa, a determinare l’interesse di alcuni verso questo intrigante oggetto di studio.

di Daniele Sasso

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5 commenti su “La pareidolia (Parte I): l’illusione nella percezione della realtà e il suo significato evolutivo”

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