13 Novembre 2024
Il rifugio Takarkori

Il rifugio Takarkori come appare oggi (credit: Savino di Lernia)

Gli antichi abitanti del sud-ovest libico, dove oggi sorge il deserto del Sahara, un tempo si nutrivano prevalentemente di pesce. I reperti sono una testimonianza del graduale ma inesorabile cambiamento climatico.

Il Tadrart Acacus, massiccio montuoso ubicato nel Fezzan (sud-ovest della Libia), nel deserto del Sahara, deve la sua notorietà a una ricca e preziosa collezione di arte rupestre preistorica: l’opera degli antichi artisti costella le pareti delle caverne e dei ripari rocciosi del sito.

Una rassegna preistorica per immagini

Databili fra il 12000 avanti Cristo e il 100 dopo Cristo, rappresentano un’incredibile testimonianza dell’evoluzione dell’area nel corso dei millenni, dal punto di vista climatico e delle variazioni nella flora e nella fauna, nonché nelle abitudini degli esseri umani che vi hanno abitato, con dipinti e incisioni che ritraggono persino scene di vita quotidiana.
Non sorprende il sito sia patrimonio UNESCO fin dal 1985.

In particolare, nel massiccio vi è una zona denominata riparo roccioso di Takarkori già balzata negli scorsi anni all’onore delle cronache per il ritrovamento delle più antiche testimonianze di coltivazioni di cereali selvatici, risalenti a diecimila anni fa.

Il Sahara, un tempo regione lussureggiante

Oggi estremamente calda, arida e ventosa, la zona del Tadrart Acacus un tempo, in particolare nel Primo e Medio Olocene (fra i 10200 e i 4650 anni fa) si presentava umida, ricca di acqua, fauna e flora in grado di sostentare una significativa presenza umana.

Oltre ai manufatti opera dei nostri antenati, nelle grotte i ricercatori hanno trovato una gran quantità di resti animali caratterizzati dall’essere veri e propri rifiuti, quel che rimane di ciò che gli abitanti di quest’oasi rocciosa usavano come nutrimento.

Dei 17,551 resti animali rinvenuti risalenti a un periodo datato fra 10200 e 8000 anni fa, ben l’80% è costituito da pesci, il 19% da mammiferi e il rimanente da uccelli, molluschi, rettili, anfibi.
Ma fra i ritrovamenti che risalgono a un’epoca compresa fra i 5900 e i 4650 anni fa le cose cambiano: i pesci si riducono al 40% del totale mentre crescono i rimasugli dei mammiferi.

Secondo i ricercatori questo indica una graduale variazione nelle abitudini alimentari degli abitanti di Takarkori che dalla pesca sarebbero passati alla caccia e all’allevamento.

I pesci dove oggi c’è il deserto

Si è anche resa evidente la graduale sparizione dei tilapia, pesce poco noto dalle nostre parti ma che costituisce a tutt’oggi la specie ittica più consumata al mondo, bisognosi di acque tropicali per vivere e riprodursi, mentre persisteva la presenza del pesce gatto, forte di una fisiologia che gli permette di prosperare anche in acque basse e calde. Ulteriore conferma di come una regione un tempo ricca di fauna acquatica sia andata incontro a un enorme cambiamento delle condizioni climatiche fino a diventare il più grande deserto del mondo come lo conosciamo oggi.

I rifugi del Takarkori si confermano una sorta di preziosa enciclopedia da studiare per comprendere l’evoluzione del clima, della vita e dell’interazione dell’uomo con la natura nel corso dei millenni.

I risultati della ricerca guidata da Wim Van Neer del Museo di Storia Naturale del Belgio e da Savino di Lernia dell’Università La Sapienza di Roma sono stati pubblicati sulla rivista open access
PLoS ONE il 19 febbraio 2020.

Di Corrado Festa Bianchet

Antropologia e archeologia in Africa – guarda anche:

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