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Due esopianeti potrebbero occupare la stessa orbita: sarebbe la prima osservazione in assoluto

Nel film di genere fantascientifico Doppia Immagine nello Spazio, uscito nel 1969 per la regia di Robert Parrish sotto l’egida dei coniugi Anderson famosi per serie cult Thunderbirds, UFO e Spazio 1999, lo spunto per la trama è rappresentato dall’esistenza di un pianeta ospitato nella stessa orbita della Terra ma rimasto a lungo sconosciuto poiché dal nostro punto di vista si troverebbe sempre esattamente dalla parte opposta rispetto al Sole. Ma nella realtà è possibile che si verifichi un evento analogo?

Forse non nel nostro sistema solare, gli attuali strumenti per gli studi del cosmo, fra telescopi a terra e sonde nello spazio, sono molto più avanzati rispetto a cinquant’anni fa; ma grazie al lavoro di un team internazionale di astronomi potremmo trovarci di fronte alla prima osservazione di questo fenomeno all’interno di un altro sistema stellare, ubicato a 370 anni luce da noi. Proprio dietro l’angolo, su scala galattica.

«Vent’anni fa era stato previsto in teoria che coppie di pianeti di massa simile potessero condividere la stessa orbita attorno alla loro stella, i cosiddetti pianeti troiani o co-orbitali. Per la prima volta, abbiamo trovato prove a favore di tale idea» spiega Olga Balsalobre-Ruza, astrofisica presso il Centro di astrobiologia (CAB) di Madrid, ente affiliato al NASA Astrobiology Institute.

Gli asteroidi troiani sono un esempio di oggetti coorbitali nel sistema solare

Sono chiamati Troiani i corpi rocciosi che condividono la stessa orbita di un pianeta e ce ne sono molti esempi nel nostro Sistema Solare: il più noto è certamente costituito dagli asteroidi, circa 12.000, che seguono la stessa orbita intorno al Sole di Giove. Naturalmente questo fenomeno potrebbe ripetersi in qualunque altro sistema solare e potrebbe riguardare non solo piccoli corpi come gli asteroidi ma i pianeti stessi. Tuttavia si tratta di un’ipotesi molto difficile da provare: «Gli esotroiani erano finora come gli unicorni: in teoria possono esistere, ma nessuno li ha mai visti» dice Jorge Lillo-Box, ricercatore senior presso il CAB.

PDS-70, il sistema stellare in cui è stata effettuata la scoperta, era già balzato agli onori delle cronache scientifiche poiché qui per la prima erano state ottenute immagini dirette di addirittura due esopianeti in via di formazione, i giganti gassosi PDS-70b e PDS-70c (i nomi dei pianeti vengono formati unendo le lettere, a partire dalla “b”, al nome della stella intorno a cui sono in orbita) con inoltre prove dell’esistenza di un disco in formazione lunare attorno a quest’ultimo.

Lo studio del sistema stellare è naturalmente proseguito e grazie a osservazioni approfondite in particolare sui dati dell’archivio del telescopio ALMA (Atacama Large Millimeter Array) dello European Southern Observatory (l’Osservatorio Europeo Australe, ESO) è stato ora individuato un corpo che secondo le stime è dotato di una massa pari a due volte la nostra Luna che condivide la stessa orbita di PDS-70b. La scoperta ha causato molta eccitazione nei ricercatori, anche se probabilmente l’oggetto è più probabilmente una nube di detriti, polveri e gas, ovvero un pianeta ancora in fase di formazione.

Lo European Southern Observatory in Cile è uno dei più importanti e avanzati osservatori astronomici al mondo

Esso si troverebbe in uno dei punti di Lagrange, quello denominato L5: si tratta di regioni in cui a causa delle forze di attrazione combinate di un pianeta e di una stella la materia rimane stabile (potremmo dire intrappolata) in un preciso punto orbitale: sul piano pratico, è un fenomeno fisico che nei pressi della Terra sfruttiamo per esempio per il posizionamento di satelliti o telescopi spaziali.

«Chi poteva immaginare due mondi che condividono la durata dell’anno e le condizioni di abitabilità? Il nostro lavoro è la prima prova che questo tipo di mondo potrebbe esistere. Potevamo ipotizzare un pianeta che condivide la sua orbita con migliaia di asteroidi come nel caso di Giove, ma per me è strabiliante che i pianeti stessi possano condividere la medesima orbita» continua Balsalobre-Ruza.

Lo studio è un primo passo nella ricerca di pianeti coorbitali già nelle fasi primordiali dei sistemi stellari e apre nuovi interrogativi sulle modalità di formazione e la frequenza del fenomeno nei vari sistemi planetari. Ora il team internazionale autore della scoperta dovrà attendere fino al 2026 per analizzare i nuovi dati di ALMA per verificare se PDS 70b e il suo gemello si siano spostati in modo significativo lungo l’orbita condivisa mentre è previsto per il 2030 il completamento di una sorta di upgrade della schiera di dispositivi che formano ALMA stesso, mirato a incrementarne ed espanderne la sensibilità e le funzionalità.

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