Barbie, la recensione del film campione d’incassi

Atteso da mesi e accompagnato da una campagna pubblicitaria quasi martellante, il film di Barbie è finalmente arrivato nelle sale cinematografiche di tutto il mondo portandosi dietro da una parte le altissime aspettative dei nostalgici della più iconica bambola della Mattel impazienti di vedere il loro gioco preferito prendere vita nelle sembianze della bellissima Margot Robbie, e dall’altra i pregiudizi di un’importante fetta di pubblico che già tremava alla possibilità di una pellicola frivola che si risolvesse in un banale e didascalico maschi contro femmine.

Alla luce della distribuzione del film, possiamo affermare senza dubbio che ci troviamo di fronte a una pellicola assolutamente femminista che, però, non ostracizza la figura maschile e anzi trova una sorta di intesa tra il punto di vista di Barbie e quello di Ken (o, metaforicamente, tra donne e uomini). Dunque niente buoni e cattivi nel lungometraggio di Greta Gerwig, ma semplicemente umani (e giocattoli) con luci e ombre, che possono essere allo stesso tempo vittime e carnefici del sistema patriarcale che vige nella nostra società.

Margot Robbie e Ryan Reinolds sono Barbie e Ken nel film di Greta Gerwig

Barbie, da sempre una figura polarizzante in quanto simbolo di empowerment femminile e allo stesso tempo immagine capitalista di un ideale di perfezione irraggiungibile, viene qui totalmente decostruita, fatta a pezzi e riassemblata.

Dopo il viaggio da Barbieland al mondo reale che dà il via alla vicenda, la protagonista si rende conto di vivere in una società che è sempre pronta a buttarla giù. Barbie Stereotipo perde tutta la fiducia in se stessa e si convince di non essere più abbastanza: abbastanza intelligente da sembrare interessante, abbastanza carina, abbastanza divertente. In poche parole, Barbie si scontra col patriarcato e con tutte le sue contraddizioni: essere magra ma non troppo magra, essere bella ma non troppo da tentare gli uomini, essere economicamente indipendente ma non poter chiedere un aumento perché sarebbe volgare, essere una donna in carriera e allo stesso tempo legata alle tradizioni.

Eppure, sarà proprio la consapevolezza di dover essere tutto e il contrario di tutto agli occhi della società a donarle la forza di comprendere che va bene essere ordinari, che non bisogna essere per forza una super donna né essere una madre impeccabile per avere, anzi, per pretendere, una propria dignità. A Barbie, come a ogni donna, basta essere semplicemente se stessa.

Parallelamente al percorso del personaggio di Margot Robbie, seguiamo anche quello di Ken, interpretato da un magistrale Ryan Gosling. È con la sua figura che il film dà voce anche agli uomini, anch’essi vittime del loro patriarcato. Non possono mai mostrarsi fragili perché apparirebbero deboli e sono costretti, come le donne, a rispondere a determinati canoni estetici e sociali che, se non rispettati, li renderebbero dei reietti.

Ed è allora chiaro che Barbie non veicola alcun messaggio negativo: non poggia su un femminismo tossico o su ideali misandrici, ma sta semplicemente dalla parte di chiunque si senta emarginato o diverso dando loro il coraggio sufficiente per sentirsi finalmente abbastanza.

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