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La fusione di due stelle morenti osservata nel 1181

Pa 30 è il nome attributo a una nebulosa, ovvero una regione composta di gas fortemente illuminati dalle radiazioni, polveri e altra materia. Un nuovo studio su questo oggetto celeste rivela che esso contiene poco o niente idrogeno ed elio ed è invece ricco di zolfo e argon.

Tale composizione, la struttura e le caratteristiche insolite sono compatibili con quello che si ritiene possa essere il risultato di un evento come la fusione di due nane bianche, stelle superdense che se avessero la massa del nostro Sole si presenterebbero con dimensioni simili a quelle della Terra.

La fusione di due nane bianche è una spiegazione proposta per una sottoclasse di supernove denominate di Tipo Iax, in seguito al quale la nana bianca non viene completamente distrutta dall’evento ma rimane una sorta di stella zombie.

Le nuove immagini sono state ottenute grazie all’Osservatorio MDM (Michigan-Dartmouth-MIT Observatory) in Arizona

“Né io né nessuno dei miei colleghi abbiamo mai visto alcun oggetto, e certamente nessun residuo di supernova nella galassia della Via Lattea, che assomigli a questo” spiega Robert Fesen, professore di fisica e astronomia nonché primo autore dello studio. “Questo residuo consentirà agli astronomi di studiare un tipo di supernova particolarmente interessante su cui fino a ora potevano indagare solo sulla base di modelli teorici ed esempi in galassie lontane”.

Pa 30 si sta espandendo a una velocità di quattro milioni di chilometri all’ora suggerendo che la collisione sia avvenuta intorno all’anno 1181 in coincidenza con le descrizioni di tre gruppi distinti di astronomi cinesi e altri in Giappone riguardo una stella particolarmente luminosa apparsa all’improvviso nella costellazione di Cassiopea e rimasta visibile per circa sei mesi, affievolendosi lentamente. Oggetti che per la loro temporaneità nei secoli passati erano chiamate stelle ospiti (prima che scoprissimo la loro vera natura).

Pa 30 era stata scoperta nel 2013 dall’astronoma amatoriale e coautrice della ricerca Dana Patchick, ma fino a oggi potevamo vedere solo un oggetto estremamente debole e diffuso. Le immagini della struttura e della luminosità della nebulosa catturate dal professor Fesen utilizzando il telescopio Hiltner da 2,4 metri presso l’Osservatorio MDM cui aveva applicato un filtro ottico sensibile a una particolare riga di emissione dello zolfo non solo forniscono una stima accurata della sua età, potrebbero anche consentire agli astronomi di affinare i modelli esistenti sulle fusioni delle nane bianche.

Secondo Fesen le nuove immagini dotate di maggiori dettagli e profondità permettono non solo di apprezzare la bellezza di Pa 30 ma anche di osservare la vera struttura della nebulosa, di indagare sulla sua composizione chimica e su come la stella al centro abbia potuto generare il suo straordinario aspetto, quindi confrontare queste proprietà con le previsioni ottenute da specifici modelli di rare fusioni di nane bianche.

Agli astronomi dell’epoca la stella ospite dev’essere apparsa luminosa almeno quanto Vega

La ricerca è partita da un lavoro pubblicato nel 2019 da ricercatori russi che descriveva la presenza di una stella davvero insolita quasi perfettamente al centro della nebulosa Pa 30, con una temperatura superficiale di 400.000 gradi Fahrenheit e venti solari dell’ordine di 55 milioni di chilometri orari.

Rivisitando tale studio, astronomi di Hong Kong avevano successivamente ipotizzato in circa 1000 anni l’età della nebulosa e che la posizione corrispondeva con gli avvistamenti del 1181, proponendo l’idea la grande luminosità osservata fosse conseguenza della fusione di due nane bianche.

Il margine di errore di 300 anni indicato dai ricercatori è grazie allo studio odierno molto più ristretto, la nebulosa avrebbe iniziato a espandersi proprio 850 anni fa, come registrato dagli astronomi asiatici all’epoca e proprio in quella posizione nel cielo.

I risultati della ricerca sono stati resi pubblici il 12 gennaio 2023 durante il 241esimo convegno della American Astronomical Society e il lavoro è in attesa dell’approvazione per essere pubblicato sul The Astrophysical Journal Letters.

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