Asteroide minaccia i dinosauri

Dinosauri: la morte giunse in primavera

Circa 66 milioni di anni fa un gigantesco asteroide, dell’ordine dei 10 chilometri di diametro, causò l’ultima delle cinque grandi estinzioni di massa, nonché la più nota: quella che spazzò via i dinosauri (e nel complesso tre quarti della vita sul pianeta).

Non è attualmente possibile stabilire in quale anno esatto si verificò un evento di tale portata e così lontano nel tempo, ma gli scienziati ritengono di aver determinato durante quale stagione ebbe luogo. La risposta viene da una ricerca in un sito chiamato Tanis, nell’attuale Nord Dakota, devastato dalle potenti onde causate dell’impatto avvenuto molto più a sud, nello Yucatan (Messico).

Tornata la calma, presso Tanis rimase una sorta di istantanea della prima mezz’ora del disastro, con una moltitudine di creature d’acqua e di terra, animali e vegetali, fossilizzati gli uni aggrovigliati agli altri, fra cui pesci ridotti a brandelli avviluppati ai rami degli alberi dell’antica foresta. Uno spaventoso scenario di morte che rappresenta tuttavia anche uno dei più spettacolari depositi di fossili mai portati alla luce.

L’estinzione di 66 milioni di anni fa segnò la fine dell’era Mesozoica

Proprio lo studio dei pesci conduce a rivelazioni sorprendenti. Grazie a tecniche di imaging 3D ai raggi X, sono state trovate minuscole sfere di vetro (sferule) incastonate nelle branchie dei pesci formatesi in seguito alla fusione di sedimenti ultracaldi quando l’asteroide colpì ed espulse imponenti quantità di materiale dal cratere d’impatto. Le particelle volarono fin oltre l’atmosfera terrestre per poi tornare a piovere sul pianeta come perle di vetro.

Già altri ricercatori avevano concluso che le sferule precipitarono a terra fra i 15 e i 30 minuti dopo l’impatto. Esse si trovano nelle branchie dei pesci, ma non nell’apparato digerente, quindi i pesci devono essere stati sepolti vivi subito dopo aver inalato le perle di vetro, entro 30 minuti dallo schianto dell’asteroide nello Yucatan.

Le scansioni hanno inoltre rivelato preziose informazioni sul tasso di accrescimento delle ossa dei pesci, segni di fluttuazioni della crescita cellulare che si sono verificate nell’arco di sette anni: così come gli alberi aggiungono uno strato a ogni anno che passa creando i famosi anelli nel tronco che permettono di stabilirne l’età, i pesci aggiungono strati alle loro ossa mentre invecchiano, con un picco di crescita entro la fine dell’estate (comprensibilmente la crescita è maggiore quando più vi è abbondanza di cibo) per poi diminuire durante l’inverno.

Pesce fossile
Un pesce spatola del deposito di Tanis, sottoposto a scansione presso i laboratori di Grenoble (Credit: During et al.)

Una doppia conferma

I pesci sono morti proprio mentre stavano appena entrando in un periodo di crescita ossea significativa, che coincide con la primavera. E ciò viene ulteriormente confermato dal rilievo degli isotopi di carbonio su uno degli esemplari: essi presentano un modello ciclico distinto, in cui valori elevati riflettono un’elevata produttività del plancton, il principale alimento per il pesce spatola in esame.
Il plancton raggiunge tipicamente il massimo di abbondanza in estate e l’analisi isotopica mostra che la produttività non aveva ancora raggiunto il picco per l’anno, quindi i ricercatori hanno concluso che il pesce è morto in primavera.

E gli organismi nell’emisfero settentrionale, dove la primavera iniziava a riscaldare l’ambiente, stavano appena emergendo pronti per la crescita e la riproduzione dopo i freddi mesi invernali. Sono finiti così con l’essere particolarmente esposti e poter contare su meno risorse, avendo nel frattempo esaurito le riserve immagazzinate che avevano consentito loro di sopravvivere all’inverno. Un ecosistema primaverile avrebbe quindi potuto essere più vulnerabile agli effetti immediati dell’impatto rispetto a piante e animali nell’emisfero australe che si stavano al contrario preparando per l’inverno. Ciò a peggiorare ulteriormente gli effetti ampiamente noti come il brusco calo delle temperature conseguenza dell’impatto dell’asteroide, per molti versi assimilabile a un inverno nucleare e che probabilmente si protrasse per decenni.

La ricerca The Mesozoic terminated in boreal spring è stata pubblicata su Nature (febbraio 2022)

Guarda anche:

Condividi

Rispondi