Estinzione dei dinosauri: iridio nel cratere di Chicxulub conferma l’ipotesi degli Álvarez
La più credibile ipotesi sull’estinzione dei dinosauri è ormai ampiamente nota: implica circa 66 milioni di anni fa un gigantesco asteroide oppure un frammento di cometa si sia schiantato in quello che oggi è il golfo del Messico, nella regione dello Yucatan. L’idea venne avanzata dal geologo Walter Álvarez, che avrebbe coinvolto nella ricerca il padre Luis, premio Nobel per la fisica nel 1968.
Un viaggio attraverso il mondo cominciato in Italia
A partire dalla fine degli anni 70 Walter analizzò gli strati geologici corrispondenti al periodo della grande estinzione, denominato limite K-T (Cretacico-Terziario), trovandovi accumuli di iridio, un elemento raro sulla Terra ma presente negli asteroidi. Il primo rilievo avvenne nel 1979 nella Gola del Bottaccione, vicino Gubbio; il prosieguo della ricerca avrebbe dimostrato la stessa anomalia persiste in ogni parte del mondo intero, portando all’ipotesi di un impatto da asteroide.
A inizio anni 90 fu finalmente trovata la pistola fumante, ovvero un cratere compatibile sia dal punto di vista temporale che per dimensioni, abbastanza grande da aver causato una simile catastrofe. In effetti l’asteroide (o forse un frammento di cometa, ipotesi recentemente tornata alla ribalta) doveva avere un diametro compreso fra i 10 e i 14 chilometri, ben più dell’altezza del monte Everest.
L’impatto, oltre a generare spaventosi tsunami, avrebbe sollevato nell’atmosfera grandi quantità di polveri che avrebbero oscurato il Sole per anni e anni, finendo per ricadere uniformemente su tutto il globo. E fra questi materiali vi era appunto l’iridio di origine extraterrestre.
Molti indizi, ma ancora non bastano
Per quanto l’ipotesi risulti sempre più solida, le alternative non sono mai state scartate e alcuni ricercatori propendono tutt’ora per eventi vulcanici come i Trappi Deccani similmente ai Trappi Siberiani che causarono la più grande estinzione di massa di cui si abbia notizia, quella al termine del Permiano, o quantomeno una concomitanza di eventi: l’impatto da solo non sarebbe stato sufficiente, quindi l’asteroide killer avrebbe avuto nei vulcani dei complici, per così dire. Di questo abbiamo parlato in un precedente articolo.
Tuttavia un team internazionale (gli istituti coinvolti hanno sede negli Stati Uniti, in Belgio, Italia, Giappone, Svezia, Germania, Austria, Olanda e Regno Unito) ha presentato i risultati di una di una ricerca che tendono a confermare l’ipotesi degli Álvarez.
Il cratere potrebbe in realtà vantare un diametro di 300 km e l’anello, 180 km, costituirne una parete interna
Non è la prima volta che si analizzano campioni provenienti dal sito dell’impatto, nello Yucatán, ma era necessario trovare zone particolarmente adeguate alla ricerca, dove lo strato del limite K-T risulti ben conservato e accessibile, nella parte oggi sottomarina del cratere e con il minor accumulo di materiale roccioso di ere successive sovrastante.
E i risultati del carotaggio lungo il picco dell’anello che costituisce le pareti del cratere Chicxulub parlano di una concentrazione di iridio quattro volte superiore rispetto a quanto rilevato negli altri siti intorno al globo. Le analisi sono state compiute da quattro laboratori indipendenti e confermano la maggior concentrazione di questo materiale (insieme ad altri elementi sia di origine terrestre che asteroidale compatibili con l’impatto) nella zona del cratere rispetto al resto del mondo. In effetti il ritrovamento principale è stato effettuato all’interno di una sezione di cinque centimetri del carotaggio e lo strato di iridio viene posizionato entro una ventina d’anni dopo la collisione. Il tempo necessario perché ricadesse lentamente sulla Terra in seguito all’evento.
Per maggiori informazioni: “Globally distributed iridium layer preserved within the Chicxulub impact structure”, Science Advances, 24 febbraio 2021
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