Neuroscienze

Come funziona l’elettroencefalogramma (I parte)

L’elettroencefalogramma (EEG) può essere considerato a tutti gli effetti lo strumento principale delle neuroscienze. Rispetto ad altre metodiche che posseggono un vantaggio dal punto di vista della risoluzione spaziale, tecniche neurofisiologiche come l’EEG (o anche la MEG, che sfrutta i campi magnetici) sono in grado di fornire una misura diretta i potenziali elettrici dei neuroni, permettendo quindi di ottenere una migliore risoluzione dal punto di vista temporale.

L’EEG costituisce una tecnica non invasiva, attraverso la quale elettrodi di superficie vengono montati direttamente sullo scalpo oppure mediante l’utilizzo di una apposita cuffia.

Il segnale può essere misurato a riposo, in modo da rilevare possibili anomalie, oppure durante compiti specifici e/o la presentazione di specifici stimoli (in questo caso si parla di ERP, ovvero potenziali evento-correlati).

L’elettroencefalografo permette di convertire il segnale elettrico in una rappresentazione numerica, trasferibile su un computer per la sua analisi o anche direttamente ad un device adeguato.

Un classico tracciato EEG

Nell’esempio più classico, il tracciato EEG si presenta con delle linee orizzontali frastagliate. Sulla sinistra si trovano i canali, i quali rappresentano i diversi elettrodi posti sulle zone dello scalpo.

Verticalmente, sono presenti delle linee che dividono il tracciato in epoche, solitamente in secondi o in millisecondi. Le linee continue presenti in ogni canale sono costituite da deflessioni verso l’alto o verso il basso, e attraverso il loro numero è possibile comprendere la frequenza di oscillazione del segnale, misurata in cicli al secondo.

Le specifiche bande di frequenza sono ottenibili scomponendo l’attività complessiva di un canale attraverso dei particolari algoritmi. Ogni banda possiede caratteristiche ricollegabili ad un diverso significato dal punto di vista funzionale.

Le caratteristiche principali del tracciato EEG

L’analisi di un segnale EEG si basa su alcune caratteristiche principali in esso presenti, utili per comprendere, ad esempio, la differenza tra un funzionamento tipico ed uno anomalo.

Frequenza: come già anticipato, la frequenza equivale al numero di cicli al secondo (Hz) delle deflessioni del segnale. I principali ritmi cerebrali, o anche le diverse fasi del sonno sono distinguibili anche in base alla differente frequenza delle bande.

Ampiezza: misurata in µV, l’ampiezza ci fornisce informazioni sulla grandezza delle onde che compaiono sul tracciato; possiamo misurarla dalla base dell’onda al suo picco (baseline-to-pick), oppure prendendo in esame due picchi (peak to peak). La differenza tra le due misurazioni, in ogni caso, dipende dal genere di problema clinico o di ricerca affrontato.

Polarità: in questo caso si fa riferimento alla direzione della deflessione dell’onda, ovvero se essa è negativa o positiva.

Latenza: quando parliamo di potenziali evento-correlati, grande attenzione può essere posta sulla finestra temporale necessaria per una risposta dopo la presentazione di uno stimolo. Risposte a latenza breve sono solitamente tipiche di elaborazioni sensoriali, mentre latenze più lunghe riguardano processi più elaborati che coinvolgono la consapevolezza.

Topografia: pur non eccellendo nella risoluzione spaziale, attraverso l’EEG è possibile comunque monitorare come in una determinata finestra temporale le risposte si presentino in una particolare area rispetto alle altre, permettendo di comprendere come quella zona sia coinvolta in uno specifico compito.

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