Neuroscienze

La dopamina: il neurotrasmettitore del piacere o del volere? (I parte)

Nessun neurotrasmettitore, probabilmente, è celebre come la dopamina; tra le sostanze che albergano nel nostro cervello, questa catecolamina rappresenta senza ombra di dubbio uno dei più studiati, soprattutto in virtù delle tante patologie che dipendono proprio dagli scompensi della stessa.

Dal punto di vista culturale, la dopamina viene associata da decenni alla piacevolezza, tanto da essere stata descritta come “l’ormone del piacere” nella maggior parte delle occasioni. Ma è davvero così?

Dove viene prodotta la dopamina

Partendo dalle basi, bisogna prima di tutto comprendere dove venga prodotta la dopamina. Le aree coinvolte nel suo rilascio sono sostanzialmente sottocorticali: la substantia nigra e l’area tegmentale ventrale (ATV).

Se facessimo invece riferimento alle zone del nostro cervello in cui la dopamina viene rilasciata ed ha un ruolo importante, inevitabilmente il discorso si allargherebbe a diverse strutture come quella del nucleus accumbens, dell’amigdala e della corteccia frontale.

Oltre ad essere un neurotrasmettitore, inoltre, la dopamina può essere considerata come uno degli ormoni fondamentali rilasciati dall’ipotalamo.

Da questa analisi estremamente sintetica e di certo non esaustiva delle strade che per la dopamina è possibile percorrere, probabilmente qualche dubbio sorge già spontaneo.

Da Koob a Berridge, dal piacere al volere

Esattamente come la maggior parte delle molecole presenti nel nostro sistema biologico, la dopamina svolge ruoli diversi che non sono assolutamente sintetizzabili sotto la parola “piacere”.

Eppure, un largo filone di studi nell’ambito della psicobiologia delle dipendenze (il cui maggiore esponente è rappresentato dalla teoria edonistica di Koob del 1989) aveva sostenuto come la dopamina fosse in grado di mediare la sensazione di piacere derivata da un rinforzo positivo, fino a portare a degli scompensi nei soggetti dipendenti, derivati da un abbassamento della soglia del piacere.

Questo genere di conclusioni ebbe molto successo, portando alla ribalta la dopamina come “ormone del piacere”. Un messaggio di facile lettura perfetto per essere canalizzato nel marketing pubblicitario e oltre, fino alla produzione di collane rappresentanti la struttura molecolare della dopamina come augurio di una vita segnata da momenti piacevoli.

Come spesso accade, però, la realtà è molto più complessa di come appare, soprattutto quando parliamo del cervello umano. Già nel 1993, infatti, la teoria della salienza incentiva proposta da Berridge aveva di fatto messo in crisi quella di Koob, di pochi anni prima.

Con una serie di esperimenti semplici ed intuitivi, venne dimostrato come effettivamente fosse possibile ridurre i livelli di dopamina in un animale senza intaccare le sue reazioni edoniche.

Un’ulteriore conferma, ad oggi, è rintracciabile in pazienti affetti da morbo di Parkinson, i quali nonostante i livelli dopaminergici non ottimali e le enormi difficoltà nei movimenti, presentano comunque reazioni edoniche integre.

Oggi, piuttosto che sistema del piacere, si parla di circuito della ricompensa, poiché sembra accertato che la dopamina sia rilevante soprattutto per quella forza che ci spinge a desiderare e a volere qualcosa, piuttosto che al piacere di averla.

Nonostante il dibattito sia rimasto aperto per anni, col tempo sembra essere diventato quindi evidente come la dopamina sia legata non al piacere, ma piuttosto alla motivazione.

Fonti:

Berridge, K.C. (2004). Motivation concepts in behavioral neuroscience. Physiology and Behaviour. 2004;81(2):179–209.

Koob, G. F., Stinus, L., Le Moal, M., & Bloom, F. E. (1989). Opponent process theory of motivation: neurobiological evidence from studies of opiate dependence. Neuroscience & Biobehavioral Reviews, 13(2-3), 135-140.

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