Filosofia

La Storia della Filosofia Occidentale – Capitolo XII: Socrate (I Parte)

Addentrarsi nella comprensione del pensiero di Socrate, figura rivoluzionaria e parte integrante dello sviluppo del pensiero occidentale e non solo nel corso dei secoli, significa per prima cosa partire dalla consapevolezza che ogni scritto che abbiamo inerente al filosofo nato ad Atene intorno al 469 a.C. proviene da altri.

Socrate, infatti, nella sua ricerca filosofica mirata ad un esame quasi ossessivo di sé stesso e degli altri, preferì non promulgare la sua dottrina attraverso la scrittura, ma solo ed esclusivamente attraverso un’attività pratica, la quale spesso mirava a far sorgere dubbi (e talvolta inquietudine) nella mente di chi lo ascoltava e con lui interloquiva.

Socrate: figlio e nemico della sofistica

Per prima cosa, è necessario inquadrare Socrate come un figlio e allo stesso il peggior nemico della sofistica.

Pur concentrandosi sulla figura dell’uomo a discapito dell’interesse per la natura e possedendo una visione razionalistica finalizzata a ricercare all’interno dell’essere umano i criteri per pensare e comportarsi con gli altri, rispetto ai Gorgia e ai Protagora l’obiettivo di Socrate poteva definirsi praticamente il contrario: cercare di avvicinare gli uomini verso una verità comune.

La battaglia di Socrate, in sostanza, si articola come un’indagine dell’essere umano verso sé stesso, nel tentativo di comprendere il significato intrinseco che si cela dietro l’essere uomini.

Ma quali sono le “armi” utilizzate da Socrate per scalfire la superficialità dei suoi concittadini e mettere in dubbio ogni certezza che questi possiedono?

Il non-sapere socratico

Il non-sapere socratico rappresenta senza dubbio una di queste. Questo concetto, in realtà, nasce quasi dal suo opposto. Dopo essere stato dichiarato dall’oracolo di Delfi il più sapiente tra gli uomini, Socrate decise di interpretare il messaggio con la consapevolezza che solo chi sa di non sapere e davvero saggio.

Oltre quella che potrebbe essere definito semplicisticamente come una forma generalizzata di scetticismo, il non-sapere socratico è prima di tutto una critica, da una parte ai filosofi che ricercavano la conoscenza delle leggi del cosmo, e dall’altra verso la sofistica.

Se però la possibilità di conoscere davvero la natura che si erge intorno agli esseri umani sembra effettivamente impossibile da raggiungere, in Socrate questo non vale per i problemi di natura esistenziale ed etica.

La ricerca che pone al centro l’uomo, infatti, deve essere stimolata attraverso i suoi stessi limiti, poiché solo chi è consapevole della sua ignoranza può davvero apprendere, mentre chi è certo della propria sapienza, di fatto, non sta imparando nulla.

Socrate nella pratica: l’ironia e la maieutica

Ma, come abbiamo già detto, Socrate si caratterizzava per un’attività prettamente pratica, che spesso costringeva anche i più dotti a porsi più di qualche domanda.

L’ironia socratica (“dissimulazione”) consisteva proprio nel recitare la parte dell’ignorante, elogiando inizialmente l’interlocutore come massimo esponente della conoscenza nella propria arte o nel proprio mestiere.

Ed era proprio qui scattava la trappola socratica, la quale attraverso una serie di domande argute ed incessanti che confutavano velatamente le dichiarazioni del malcapitato, mettevano quest’ultimo all’angolo, gettando luce sull’inconsistenza delle proprie dichiarazioni.

La propensione verso i paradossi e la dialettica tanto cara ai sofisti assumono quindi un ruolo antitetico, che porterà l’ironia socratica ad essere descritta proprio come una “sofistica nobile” mirata al raggiungimento della verità e non alla persuasione.

Non a caso, il concetto di maieutica socratica richiama proprio la volontà di Socrate di non impartire mai lezioni direttamente, né tantomeno riempire la testa degli altri delle proprie idee, quanto piuttosto di portare l’ascoltatore a cercare da solo le proprie risposte (auto-educazione).

A tal proposito, Platone scriverà di come Socrate, continuando figurativamente il lavoro di ostetrica che aveva avuto sua madre, esercitasse la sua maieutica come “l’arte di far partorire”, in questo caso dalla mente.

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