AstronomiaCuriositàNewsScienza

Pianeta 9: potrebbe essere un buco nero?

Dei pianeti del nostro sistema solare il più lontano visibile a occhio nudo è Saturno (ma non i suoi anelli); possiamo vedere persino il piccolo Mercurio a causa della sua vicinanza.

Urano fu invece scoperto solo dopo l’invenzione del telescopio e ovviamente senza non avremmo mai visto nemmeno Nettuno, ma in questo caso c’è di più: la sua esistenza fu predetta poiché la presenza di un oggetto di tale massa e posizione avrebbe spiegato alcune anomalie rilevate nel percorso di Urano lungo la propria orbita.

John Couch Adams e Urbain Le Verrier predissero con la matematica e in modo indipendente l’esistenza di Nettuno

E proseguendo nelle osservazioni ci si è resi conto che l’orbita di entrambi questi pianeti sarebbe meglio spiegabile sotto l’influenza di altri oggetti massivi più distanti. Non certo Plutone, Eris e gli altri pianeti nani: serve qualcosa di ben più massiccio.

Oltretutto, esistono sottogruppi di oggetti transnettuniani che orbitano in modo anomalo, per esempio presentando orbite eccessivamente ellittiche, con forti allontanamenti e avvicinamenti al Sole, oppure sono troppo inclinati rispetto al piano su cui si muovono i pianeti, la fascia degli asteroidi e altri corpi principali. Questo piano è l’eredità del disco di materiale ed energia vorticante che generò l’intero sistema solare oltre quattro miliardi e mezzo di anni fa.

La ricerca del Decimo Pianeta scala una posizione

Ecco quindi l’ipotesi del nono pianeta, Planet 9 in inglese, anche noto come Planet X, dove la X poteva stare sia per ignoto che per decimo, prima dell’improvvido declassamento di Plutone.

Per giustificare le anomalie rilevate nel comportamento di certi oggetti, questo pianeta deve possedere una massa piuttosto grande e seguire una determinata orbita, ma trovarlo, quand’anche esistesse davvero, non è affatto semplice come forse si potrebbe pensare.

Gli astronomi stanno indagando su un’anomalia denominata lente gravitazionale, individuata in un luogo compatibile con la ricerca del Pianeta X.
Questo fenomeno quando generato su scala molto ampia, ovvero da corpi estremamente massivi, può risultare persino utile poiché permette di vedere fortemente ingranditi altri oggetti posizionati in prospettiva dietro di esso ma talmente lontani che risulterebbero invisibili senza questa lente naturale causata dalla distorsione dello spaziotempo.

L’effetto riscontrato su piccola scala all’interno del sistema solare è proprio questo: vi è un effetto di distorsione che influenza il modo in cui vediamo le stelle sullo sfondo di una zona in cui non c’è nulla, apparentemente. La massa in questione dovrebbe trovarsi ad almeno trenta volte la distanza che separa Nettuno dal Sole, probabilmente molto di più.

La posizione dei pianeti extrasolari in rapporto alla propria stella portò a dover rivedere le teorie sulla nascita del sistema solare

Le teorie più accettate sulla formazione del sistema solare escludono un simile pianeta possa essersi formato così distante, ma è possibile una serie di interazioni con gli altri pianeti possa averne cambiato l’orbita, come del resto si ritiene sia accaduto con Giove e gli altri giganti gassosi o ghiacciati.

Un’altra ipotesi consiste in un pianeta espulso da un altro sistema stellare e catturato dal nostro: sebbene improbabile non è impossibile, anche se sarebbero necessari determinati eventi per stabilizzarne l’orbita, come il transito di un’altra stella nei pressi (su scala cosmica) del sistema solare, evento che peraltro sia sospetta sia effettivamente accaduto, o magari l’esistenza della compagna del Sole, Nemesis, tutt’ora oggetto di ricerca.

A questo punto però ecco l’idea che il Pianeta 9 possa in realtà essere un buco nero primordiale, la cui cattura non risulterebbe più improbabile di quella di un pianeta e che per contro potrebbe meglio spiegare il comportamento osservato.

Oggetti supermassicci antichi quasi quanto l’universo

Un buco nero primordiale sarebbe una categoria di questi corpi celesti creatasi non da un classico collasso gravitazionale stellare ma durante le prime fasi di nascita e sviluppo dell’universo, quando nella materia all’epoca superdensa in seguito a delle fluttuazioni si sarebbero potuti generare questi oggetti particolari.

L’ostacolo principale è che entriamo in un campo puramente teorico, poiché sebbene l’esistenza dei buchi neri primordiali sia in accordo con le leggi fisiche note nessuno di essi è mai stato finora rilevato. Non è un compito facile e uno dei metodi si lega strettamente a un altro importante settore dell’astrofisica, la ricerca della materia oscura.

La materia oscura potrebbe essere composta da quelle che sono denominate WIMP (weakly interacting massive particles, particelle massicce debolmente interagenti): se WIMP e antiWIMP entrassero in collisione tenderebbero ad annichilirsi proprio come materia e antimateria.

Il reciproco annullamento di materia e antimateria genera l’energia che muove l’Enterprise di Star Trek

Il risultato dell’annichilazione della materia oscura sarebbe tuttavia materia normale, che a sua volta produrrebbe fotoni ad alta energia, che noi siamo in grado di rilevare. Il telescopio Fermi ha per esempio individuato un eccesso di raggi gamma proveniente dal centro della galassia, molto più di quanto ce se ne aspetti, e questo è considerato un possibile indizio dell’esistenza della materia oscura.

Un buco nero primordiale nato all’inizio dell’universo risulterebbe particolarmente stabile, tanto da esistere tutt’ora, e potrebbe presentarsi con massa particolarmente piccola in rapporto ai buchi neri stellari. L’idea quindi che il Pianeta 9 sia in realtà un buco nero primordiale ben si adatta alla teoria e alle osservazioni finora effettuate, ma ricerche approfondite e mirate sono necessarie, combinando la ricerca dell’origine del comportamento anomalo degli oggetti transnettuniani con il tentativo di rilevare la sfuggente materia oscura.

La ricerca originale è apparsa su Physical Review Letters a firma di Jakub Scholtz (Durham University, Regno Unito) e James Unwin (Università dell’Illinois, Chicago, e Università della California, Berkeley).

Di Corrado Festa Bianchet

Guarda anche:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *