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Il buco nero che non dovrebbe esistere: dati e dubbi

I buchi neri sono corpi celesti la cui esistenza fu ipotizzata in teoria, in accordo con i princìpi della relatività enunciati da Albert Einstein, ormai un secolo fa. Ma rimasero a lungo protagonisti più della fantascienza che della ricerca scientifica cominciando a essere “presi sul serio” solo fra gli anni 70 e 80. Oggi tuttavia esistono numerosi buchi neri la cui esistenza è scientificamente confermata: fra questi, Sagittarius A* al centro della Via Lattea a 26000 anni luce dalla Terra e M87 (chiamato anche Virgo A), nella galassia omonima distante 53,5 milioni di anni luce da noi.
Essi presentano una massa rispettivamente di milioni e miliardi di volte il nostro Sole; allora perché la recente scoperta di LB-1, che vanta una massa di “appena” 70 soli, ha destato tanta impressione da essere definito “buco nero impossibile”?
Sagittarius A* e M87 sono buchi neri supermassicci la cui nascita deriva da eventi assai estremi di ordine galattico e anche i buchi neri di massa intermedia (migliaia di masse solari) hanno caratteristiche peculiari che implicano più del “semplice” collasso di una singola stella.
Ubicato a 15000 anni luce di distanza, LB-1 è un buco nero stellare, ovvero la classe di questi oggetti più comune dal punto di vista della formazione: una volta esaurito il combustibile, la stella non è più in grado di generare attraverso la reazione di fusione nucleare un’energia sufficiente a contrastare la forza di gravità, quindi l’equilibrio si spezza e la stella collassa su sé stessa dando luogo a una tremenda esplosione che espelle e “infiamma” gli strati esterni (talmente luminosi da poter essere visti a enormi distanze, anche extragalattiche) dando origine a quella che chiamiamo supernova. La parte restante si contrae e si addensa, facendo sì che una grandissima quantità di materia occupi pochissimo spazio (la classica analogia è “il cucchiaino che pesa come una montagna”); perché ciò accada è necessaria una massa minima pari ad almeno tre volte il Sole, al di sotto della quale l’astro si evolve invece in stella di neutroni o in nana bianca. Tuttavia esiste un fenomeno denominato vento stellare, un flusso di gas emesso dall’atmosfera superiore di una stella che porta a una perdita di massa; l’evoluzione di una stella ne viene marginalmente interessata ma diventa significativa in prossimità della sua “morte”: poco prima dello stadio di supernova, infatti, secondo i modelli teorici attuali una stella con una composizione chimica tipica della nostra galassia perderebbe talmente tanta massa da porre il limite del buco nero risultante in 45-55 masse solari, e molte addirittura scenderebbero sotto il limite minimo evolvendosi in nane bianche. Una massa pari a 70 soli è inattesa e porterebbe a rivedere le teorie sull’evoluzione stellare.
La ricerca pubblicata su Nature riporta i risultati ottenuti dalle osservazioni effettuate grazie al Large Sky Area Multi-Object Fiber Spectroscopic Telescope (LAMOST) presso l’osservatorio astronomico nazionale di Pechino da un team internazionale guidato da Liu Jifeng, di cui fa parte anche Mario Lattanzi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) di Torino. La scoperta è stata effettuata rilevando il comportamento di una stella di tipo B sei volte più grande del sole: analizzando le variazioni nel suo spettro luminoso ci si è resi conto che come in un sistema binario essa orbita insieme a una compagna, che tuttavia risulta invisibile; analisi approfondite (anche grazie al Gran Telescopio nelle Canarie e al Keck negli Stati Uniti) hanno permesso di effettuare calcoli più precisi per stimare di conseguenza la massa di questo corpo nascosto ed ecco emergere la sorpresa.
Ora la ricerca, come da prassi nel metodo scientifico, è in attesa di conferme anche per risolvere alcune perplessità già sollevate da altri ricercatori, che hanno ipotizzato soluzioni alternative come la presenza di due buchi neri intorno a 35 masse solari ciascuno (quindi ampiamente entro i limiti noti) o l’incertezza dovuta alla misurazione della distanza del sistema stellare effettuata tramite il satellite Gaia dell’ESA, nato proprio con l’ambizioso fine di mappare la galassia, secondo cui LB-1 e la sua compagna si troverebbero a 7000 anni luce da noi e non 15000, portando quindi a dover ricalcolare le stime sulla massa. Tuttavia anche il rilevamento di Gaia è da confermare, poiché potrebbe essere stato influenzato proprio dalla marcata oscillazione della stella visibile.
Oggi si suppone i buchi neri stellari siano oggetti comuni e nella sola Via Lattea ve ne siano circa cento milioni, ma solo una dozzina di candidati è stata finora individuata: se non interagiscono con una compagna (“strappandole” massa, per esempio, con conseguente emissione di radiazioni) questi oggetti, per quanto massicci, sono altrimenti quieti e molto difficili da scovare.

[Nell’immagine (Credits: Jingchuan Yu) rappresentazione artistica di LB-1 e della sua compagna visibile]

Di Corrado Festa Bianchet

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