Filtro in grafene

Un filtro in grafene elimina le tossine dall’acqua

Se molte sostanze inquinanti sono ben visibili, altre risultano più subdole e pericolose poiché anche una piccola quantità disciolta in acqua può causare seri di problemi alla salute delle persone e dell’ambiente. È il caso di metalli come il cromo, il cadmio, l’arsenico, il piombo, il mercurio o l’uranio.

I metodi per rendere potabili le acque in cui siano presenti tracce di tali sostanze esistono ma sono costosi, non molto efficienti e fonti a loro volta di materiali di scarto tossici da smaltire. Si tratta di un problema più diffuso di quanto venga probabilmente spontaneo immaginare: diverse aree negli Stati Uniti ne sono per esempio affette a causa non solo di attività minerarie e industriali ma anche solo dallo scorrere dell’acqua attraverso giacimenti naturali.

Secondo l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (EPA) diversi siti presentano livelli di uranio prossimi al limite di sicurezza o persino già oltre.

Un team internazionale si è in particolare concentrato sulla possibilità di filtrare le particelle di uranio: sistemi più moderni erano già stati avviati ma pur funzionando in linea di principio avevano fornito risultati parziali e nel complesso insoddisfacenti, come nel caso dell’applicazione di una corrente elettrica a un filtro in fibra di carbonio.

I ricercatori hanno studiato il comportamento della schiuma di grafene già in uso per le batterie al litio-zolfo, che nel prossimo futuro potrebbero sostituire quelle agli ioni di litio nelle comuni applicazioni (dagli smartphone alle auto elettriche), poiché era già nota la sua capacità di attrarre specifici elementi chimici sulla propria superficie. Si confidava di poterlo sfruttare per catturare le particelle di uranio.

Applicando una carica elettrica alla schiuma di grafene si scindono le molecole d’acqua generando idrogeno che a sua volta modifica il pH e indurre cambiamenti chimici in grado di estrarre gli ioni di uranio dalla soluzione che si sta filtrando. I ricercatori sono in pratica riusciti a trasformare il grafene in una sorta di calamita per l’uranio, che si innesta sulla superficie della schiuma in forma cristallina.

Invertendo la carica elettrica il minerale convertito in questo nuovo stato si stacca poi facilmente dalla schiuma di grafene.

Sono stati necessari parecchi tentativi per affinare il filtro, modificandone la chimica e le qualità strutturali (all’inizio era fragile e si frantumava facilmente), ma il risultato finale mostra una grande efficacia: la schiuma è in grado di catturare uranio pari a quattro volte il proprio peso a ogni uso e non perde efficienza per sette cicli di utilizzo.

Il filtro ha superato brillantemente anche il test in acqua di mare dimostrando che la presenza di altri ioni tipicamente presenti nella soluzione salmastra non interferiscono con la capacità di filtrare l’uranio. I ricercatori ritengono questo genere di filtro potrà essere ottimizzato al fine di catturare altre tipologie di metalli tossici e inoltre facilmente adattabile ai rubinetti di casa dove oggi trovano posto i filtri ai carboni attivi.

Per ulteriori informazioni: Chao Wang et al, Uranium In Situ Electrolytic Deposition with a Reusable Functional Graphene‐Foam Electrode, Advanced Materials (2021)

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