15 Ottobre 2024
Una grotta di Naracoorte

L'interno di una delle 26 grotte nel Parco di Naracoorte, patrimonio UNESCO (CC BY-SA 3.0)

Le grotte di Naracoorte, nell'Australia meridionale, potrebbero più antiche di quanto finora ritenuto e preservare fossili in grado di gettare luce sull'enigma dell'estinzione della megafauna locale

Le cause dell’estinzione della megafauna australiana verificatasi fra i 48.000 e i 37.000 anni fa sono a tutt’oggi oggetto di dibattito. Una nuova scoperta relativa alle grotte di Naracoorte potrebbe aiutare a gettare luce sull’enigma.

Ubicate nell’Australia meridionale, queste formazioni naturali costituiscono un ricco giacimento di fossili in stratificazioni geologiche che coprono un arco di tempo di mezzo milione di anni. Sussistono tuttavia incertezze anche riguardo l’età delle grotte stesse e una nuova ricerca suggerisce essa sia finora stata sottostimata.

Un prezioso scrigno di tesori del Pleistocene

Il Naracoorte Caves National Park è inserito dal 1994 fra i Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO proprio per la ricchezza dei ritrovamenti di reperti fossili, fra cui il Procoptodon goliah, gigantesco canguro vissuto nel Pleistocene, il Wonambi naracoortensis, serpente costrittore lungo fino a nove metri, il Thylacoleo carnifex, simile nell’aspetto a un leone (ma era un predatore marsupiale e non un felino), o il possente erbivoro Zygomaturus tribolus, della stazza di un moderno rinoceronte e anch’esso un marsupiale.

Ma questi sono solo alcuni esempi dei resti portati alla luce nelle 26 grotte all’interno del Parco, un giacimento di flora e fauna particolarmente diversificata e con un livello di preservazione eccezionale (spesso sono stati ritrovati scheletri nella loro interezza).

Le grotte si formarono in conseguenza dell’infiltrazione dell’acqua che attraversando le fessure nella roccia ne causò la dissoluzione della componente calcarea, dando luogo a delle cavità. La datazione fra 0,8 e 1,1 milioni di anni è dovuta allo studio di una cresta di dune fossili sopra il complesso di grotte.

Tuttavia le metodologie applicate alla datazione della cresta dunale non si erano rivelate del tutto adatte allo scopo, perciò l’età stimata delle grotte era da ritenersi imprecisa. Un complesso lavoro è stato portato avanti dai ricercatori per ben cinque anni ed essi possono oggi affermare che gli sforzi e l’attesa sono stati ricompensati.

Il nuovo metodo di datazione ha preso in esame le formazioni di calcite che si trovano all’interno delle grotte e che già in sé costituiscono una meraviglia della natura. Chiamate nell’insieme speleotemi, queste strutture includono stalagmiti, stalattiti e rocce di flusso (depositi simili a fogli che si formano sui pavimenti o lungo le pareti).

Le grotte si aprirono al mondo esterno molto tempo dopo la loro formazione

Durante la loro formazione, piccole quantità di uranio restarono intrappolate al loro interno e il costante ritmo con cui decade questo elemento radioattivo, ben noto alla scienza, funge da orologio naturale utile per determinare l’età della roccia. Da campioni selezionati da questi depositi minerali sono stati estratti l’uranio e il piombo per calcolare l’età di ogni speleotema con grande precisione

Dal momento che tali strutture iniziano a formarsi solo dopo che si è creata una cavità sotterranea al di sopra di una falda freatica, la datazione degli speleotemi più vecchi coincide con l’età più antica della grotta stessa. Gli specialisti sono stati quindi in grado di stabilire che il processo di formazione ebbe inizio almeno 1,34 milioni di anni fa, ovvero fra i 250.000 e i 500.000 prima rispetto alle precedenti stime.

Ma il lavoro non poteva fermarsi qui: era necessario stabilire quando le grotte si fossero per la prima volta aperte verso la superficie consentendo l’ingresso della flora e della fauna. Con questo obiettivo sono state esaminate particelle di carbonio e polline catturate all’interno della calcite.

I ricercatori hanno così scoperto che questi due elementi fecero la loro prima apparizione nelle grotte circa seicentomila anni fa, suggerendo che esse potrebbero quindi preservare fossili di vertebrati risalenti fino a quell’epoca, ovvero centomila anni più indietro nel tempo dei più antichi finora portati alla luce.

Un’accurata cronologia è la chiave per comprendere quando e con quale velocità si siano verificati i processi naturali in un dato luogo, dai cambiamenti climatici allo svilupparsi o ridursi della biodiversità.

L’acceso dibattito sull’estinzione della megafauna australiana: quanto influì il clima e quanto l’uomo?

Riepilogando, adesso sappiamo che le grotte di Naracoorte si formarono a partire da 1,34 milioni di anni fa ma passarono 700.000 anni prima che si creassero passaggi verso il mondo esterno e di ciò si dovrà tenere conto analizzando l’ampio intervallo fra l’evoluzione geologica e il deposito di fossili di creature un tempo viventi.

I risultati dello studio aiuteranno Inoltre i paleontologi a fare una selezione stimando in quali zone possa rivelarsi più proficuo scavare alla ricerca di fossili il più antichi possibile, incrementando la consapevolezza sui tempi e le caratteristiche nell’evoluzione della biodiversità nel continente australiano, così peculiare rispetto al resto del mondo.

Naturalmente la tecnica sviluppata in questo studio potrà inoltre essere applicata ad altri luoghi non solo in Australia ma in ogni angolo del mondo e le informazioni sull’evoluzione del clima passato sono sempre preziose per comprendere i meccanismi in base ai quali esso cambierà nel futuro.

Fonte: Cave opening and fossil accumulation in Naracoorte, Australia, through charcoal and pollen in dated speleothems, Communications Earth & Environment (2022).

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