Il giovane D’Annunzio, indisciplinato e vittima di nonnismo

Pochi scrittori italiani pochi possono vantare una biografia animata e vivace quanto il poeta Gabriele D’Annunzio, passato alla storia per episodi singolari e spettacolari che hanno segnato il Novecento italiano.

Ancor prima di lasciare il segno con la Beffa di Buccari o con l’Impresa di Fiume, la biografia di D’Annunzio ha registrato numerosi altri episodi meritevoli di nota, a conferma della personalità e dell’indole dello scrittore di Pescara.

Dopo aver visto alcuni aneddoti dell’infanzia di uno degli scrittori italiani più celebri del secolo scorso, passiamo all’adolescenza di Gabriele D’Annunzio, della quale troviamo tracce ed episodi in scritti e biografia.

Da Pescara a Prato

Nel 1876, quando D’Annunzio aveva 11 anni, lascia la natia Pescara per frequentare il Convitto Cicognini di Prato, il più antico istituto scolastico della città, fondato nel 1862 dai padri Gesuiti. Ai tempi il rettore era Flaminio Del Seppia, con il quale D’Annunzio ebbe diversi contrasti.

Chiamato dal Vate “paedagogus paedagogorum”, Del Seppia viene ritratto diverse volte, in forma caricaturale, nelle Faville del Maglio, la raccolta di scritti autobiografici e poesie che D’Annunzio pubblicherà a puntate sul Corriere della Sera nel 1911.

Diverso, invece, è il rapporto che D’Annunzio ha con Tito Zucconi, suo insegnante di inglese ed ex garibaldino, per il quale lo scrittore nutre stima e apprezzamento. Oltre ai rapporti con il corpo docente, abbiamo notizie anche delle relazioni di Gabriele con i pari.

Sappiamo, ad esempio, che fu vittima di alcuni episodi nonnismo e che fu soprannominato “Lupacchiotto della Maiella”; ci riportano alcune fonti che, a un certo punto, D’Annunzio non tollerò più i soprusi e reagì alle vessazioni.

Pare, infatti, che dopo una provocazione morse un compagno a una mano, episodio che finalmente lo tolse dalle mire dei compagni e gli permise di trascorrere con maggiore serenità gli anni al Convitto Cicognini.

Momenti di vita quotidiana al Cicognini

La vita al Convitto era piuttosto strutturata: la sveglia suonava alle 6.30 di inverno, mentre in estate addirittura un’ora prima. Gli studenti erano impegnati in attività e lezioni per tutto il giorno, fino alle 21.30 quando ci si coricava.

Gabriele D’Annunzio viene descritto come uno studente piuttosto selvaggio e indisciplinato, ma dal punto di vista del profitto non teme confronti, attestandosi fra i migliori. Lo scrittore, tuttavia, esagera con il padre quando comunica di essere addirittura il più bravo.

Lascia il Convitto nel 1880, non prima di aver inviato, quando aveva 16 anni, una lettera a Giosuè Carducci, ai tempi il poeta più stimato del Paese: l’episodio è rappresentativo delle ambizioni e delle mire a cui aspirava D’Annunzio sin da giovane.

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