Il porfido come materiale da costruzione

I principali depositi di rame sarebbero conseguenza di eruzioni vulcaniche fallite, rivela un nuovo studio

Nonostante non sia fra i più costosi, il rame è nel mondo moderno uno dei metalli più preziosi per via delle sue qualità di conduttore termico ed elettrico. Esso viene perlopiù ricavato da quelli che vengono genericamente definiti giacimenti di porfido e oggi una ricerca dell’Università di Ginevra (UNIGE) illustra come questi depositi possano in gran parte essere il risultato degli stessi meccanismi dietro le grandi eruzioni vulcaniche.

Resistente alla corrosione, elevata conducibilità elettrica, il rame è usato massicciamente in qualsiasi settore dell’industria che abbia a che fare con l’elettricità ed è indirettamente di fondamentale importanza anche nell’attuale processo di transizione energetica, proprio perché in un modo o nell’altro si punta sempre più sull’elettricità per sostituire risorse come il petrolio (si pensi alla mobilità elettrica) o il carbone.

Ogni anno nel mondo si estraggono circa venti milioni di tonnellate di rame

Il rame è di conseguenza già una delle risorse naturali più sfruttate del pianeta e la richiesta è destinata a crescere ulteriormente fino a superare inevitabilmente l’offerta. Ragion per cui diventa di fondamentale importanza, sia dal punto di vista ambientale che economico con tutte le ricadute sociali, ottimizzare la capacità d’individuare nuovi giacimenti. In quest’ottica, comprendere al meglio le modalità di formazione di questo metallo risulta fondamentale.

La scoperta effettuata dal team di Massimo Chiaradia, professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze della Terra e dell’Ambiente della Facoltà di Scienze dell’UNIGE, va proprio in questa direzione evidenziando come i depositi di porfido siano il risultato di meccanismi molto simili a quelli che provocano le grandi eruzioni vulcaniche. “Abbiamo scoperto che grandi riserve di rame nascono da eruzioni fallite” spiega il ricercatore.

Le rocce fuse, note come magma, provengono dal mantello terrestre, un ampio strato della Terra sotto la crosta e prima del nucleo; muovendosi verso la superficie esse generano delle camere magmatiche che sono alla base dei fenomeni di eruzione vulcanica, ubicate indicativamente a una profondità compresa fra i 5 e i 15 chilometri di profondità.

“Se il volume e la velocità di iniezione del magma in questi giacimenti sono particolarmente elevate, una grande quantità di fluidi può essere emessa catastroficamente nell’atmosfera con il magma durante un’eruzione vulcanica” spiega Chiaradia, primo autore della ricerca. Questi fluidi, la cui presenza è associata al rame, possono tuttavia svilupparsi in modo quieto sotto la superficie creando depositi di rame porfido a profondità comprese fra 1 e 6 chilometri.

Il rame come l’alluminio può essere riciclato all’infinito senza perdere le proprie qualità, ma non basta a soddisfare la richiesta dei prossimi anni

Un fenomeno di questo genere si verifica tuttavia con molta meno frequenza rispetto alle eruzioni vulcaniche, ci vogliono da decine a centinaia di migliaia di anni prima che si formi un deposito di rame. Ciò spiega in parte la rarità dei giacimenti di questo metallo. “Un’eruzione fallita dipende da una concomitanza di diversi fattori: la velocità di iniezione del magma, la velocità del suo raffreddamento e la rigidità del la crosta terrestre che circonda la camera magmatica, che deve essere abbastanza flessibile da assorbire la pressione esercitata dal nuovo magma in arrivo, affinché l’eruzione non abbia luogo” illustra Luca Caricchi, professore associato al Dipartimento di Terra e Scienze Ambientali nonché secondo autore della ricerca.

“La scoperta di similitudini fra grandi eruzioni e depositi consentirà di utilizzare la grande quantità di conoscenze già acquisite dai vulcanologi per approfondire la nostra comprensione sulla formazione dei depositi di porfido” prosegue Chiaradia. I risultati del team sono stati ottenuti sottoponendo a modelli petrologici e geochimici l’insieme aggregato dei dati forniti dai ricercatori, sia sul campo che in laboratorio, e dalle compagnie minerarie.

Dal punto di vista pratico si tratta di avanzamenti nella comprensione delle modalità di formazione del rame potenzialmente in grado di aprire la strada verso lo sviluppo di innovative tecniche geologiche, mineralogiche e geochimiche da applicare alle esplorazioni volte a identificare i più grandi giacimenti di rame porfido sulla Terra. “Il passo successivo consisterà nell’elaborare un modello che ci aiuti a quantificare il contenuto totale di rame e quindi la qualità di un giacimento potenzialmente sfruttabile nel modo più accurato possibile” conclude Chiaradia.

Fonte: Supergiant porphyry copper deposits are failed large eruptions di Massimo Chiaradia et al, Communications Earth & Environment (2022).

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