Antica Grecia: i 7 sport che avevano più tifosi

L’antica Grecia non solo ha visto la nascita delle prime Olimpiadi, ma anche di parecchi sport, alcuni dei quali sono praticati ancora oggi. Ecco quali erano i 7 più popolari, nonché quelli che avevano più tifosi.

Gli antichi Greci, che organizzarono i primi Giochi Olimpici nel 776 avanti Cristo, diedero al mondo l’idea di eventi sportivi organizzati in grande stile come intrattenimento per arene piene di spettatori.

Oltre a questo, sono stati i primi ad avere una cultura in cui la gente idolatrava le sue superstar atletiche preferite, e a livelli tali che, anche i fan di oggi, potrebbero trovarli estremi.

Gli antichi Greci infatti credevano che gli atleti avessero poteri speciali, commissionavano poesie da cantare su di loro e raccontavano storie di statue di atleti che potevano guarire le persone!

Theagenes di Taso, il primo “campionissimo” di pugilato

Theagenes di Taso, per esempio, un campione di pugilato, corridore e concorrente nel Pankration, l’equivalente antico delle arti marziali miste, era così idolatrato per le sue prodezze atletiche che gli archeologi, negli anni Trenta, trovarono un altare dedicato a lui e dove l’atleta era venerato, anche secoli dopo la sua morte.

Gli antichi Greci andavano pazzi per questi atleti, e per lo sport in generale, perché erano cresciuti partecipandovi. Ogni città greca aveva il suo ginnasio, dove i maschi locali si toglievano i vestiti e gareggiavano nudi in vari sport, come la lotta o la corsa.

I greci apprezzavano la prestanza fisica e atletica, e il corpo maschile tonico era considerato come esteticamente piacevole.

La forza fisica e la prodezza erano anche segni di forza morale e denotavano autodisciplina, duro lavoro e dedizione alla vittoria.

Gli atleti erano visti come l’epitome di arete, una parola greca che significa virtù o eccellenza.

La passione tutta greca per lo sport e i primi tifosi

Gli antichi Greci amavano anche semplicemente guardare le competizioni.

Oltre alle Olimpiadi, che si tenevano ogni quattro anni, c’erano anche i Giochi Pitici per Apollo a Delfi, i Giochi Istmici per Poseidone e i Giochi Nemei, che onoravano Zeus.

I Giochi della Corona, com’erano conosciute collettivamente queste competizioni, presentavano una serie di eventi, dalle corse dei carri alle gare di atletica e agli sport di combattimento.

Gli atleti che gareggiavano in questi eventi molto probabilmente erano greci benestanti, che potevano permettersi di allenarsi invece di dover lavorare per vivere.

Se poi volevi competere per le Olimpiadi, dovevi presentarti almeno un mese prima per allenarti sotto lo sguardo dei funzionari, che presumibilmente avrebbero eliminato chiunque non fosse stato all’altezza della competizione.

Sport individuali e quella volta in cui una femminista ante litteram sfidò lo stadio

Gli antichi Greci non avevano sport di squadra, solo competizioni individuali, e non permettevano alle donne di competere in eventi o addirittura, nel caso delle donne sposate, di assistere ai giochi.

Ci fu però un’eccezione leggendaria, una vera e propria femminista ante litteram: Kallipateira di Rodi, che si travestì da allenatore maschio per poter assistere all’incontro di boxe del figlio.

Quando fu scoperta e catturata, si difese, dicendo che lei, più di tutte le donne, doveva poter assistere, avendo avuto un padre, tre fratelli, un figlio e un nipote che avevano vinto otto volte.

La sua vita fu risparmiata, ma in seguito anche gli allenatori furono obbligati a partecipare ai Giochi nudi.

Gli sport più amati, e praticati, dagli antichi Greci

Tra gli sport più amati, e anche praticati, dagli antichi Greci c’erano soprattutto le corse di bighe, e a testimoniarlo sono anche le numerose prove artistiche su ceramiche antiche che risalgono anche al periodo miceneo (1600-1100 avanti Cristo).

Omero, nell’Iliade, descrive una corsa di bighe tenutasi in occasione del funerale di Patroclo.

La gara di carri venne inserita per la prima volta nelle Olimpiadi del 680 avanti Cristo e i piloti gareggiavano con quattro o con due cavalli.

La corsa vera e propria consisteva in 12 giri intorno a un ippodromo, o pista per cavalli, e poi 12 volte nella direzione opposta. La lunghezza effettiva variava a seconda di dove si teneva l’evento.

La gara delle bighe era uno sport costoso in cui competere, e i proprietari dei cavalli e delle bighe – che guardavano i piloti gareggiare in loro nome – usavano l’evento per ostentare la loro ricchezza.

Gli ippodromi non avevano un divisorio al centro dell’ovale, e a volte si verificavano incidenti frontali tra bighe e squadre di cavalli, il che rendeva le corse di carri uno sport molto pericoloso.

Il Kele, l’antenato delle corse di cavalli moderne

Il Kele, o cavalieri che gareggiano a cavallo, fu aggiunto alle Olimpiadi nel 648 avanti Cristo.

La gara era lunga circa 1.2 chilometri e i fantini, che erano giovani ragazzi e probabilmente schiavi, cavalcavano a pelo, senza staffe, anche se avevano redini e una frusta per guidare i cavalli.

Oggi il Kele lo possiamo vedere negli ippodromi: è la corsa di cavalli moderna, che rispetto al suo antenato, ha subito poche variazioni.

La corsa, lo sport preferito per eccellenza

Gli antichi Greci amavano le corse a piedi, in particolare lo stadion (da cui, presumibilmente, sarebbe derivata la parola stadio), che prendeva il nome da un’antica unità di misura e corrispondeva allo sprint dei 200 metri nella pista moderna.

Dal 776 al 726 avanti Cristo, la corsa fu l’unico evento dei Giochi Olimpici. Gli antichi Greci in seguito aggiunsero il diaulos, l’equivalente dell’odierno evento dei 400 metri, così come un evento su lunga distanza, il dolichos, che era tra i 7,5 e i 9 chilometri – più o meno simile all’evento dei 10 chilometri che innumerevoli corridori ricreativi fanno oggi nel fine settimana.

Gli antichi Greci però avevano anche un evento che non ha una controparte moderna: l’hoplitodromos, ovvero la corsa degli opliti, in cui gli atleti emulavano la fanteria greca e correvano indossando elmi e parastinchi di bronzo e portando scudi.

La lotta, lo sport dei veri uomini per la società greca

Nell’antica Grecia, i lottatori combattevano in posizione eretta con l’obiettivo di gettare a terra l’avversario.

Il concetto di bloccare le spalle all’avversario a terra non esisteva ancora. Invece, i lottatori vincevano un incontro spingendo l’avversario per tre volte.

Un’altra caratteristica unica dell’evento antico era che non esistevano classi di peso.

Ciò significa che, un lottatore di costituzione magra, poteva avere la fortuna di trovarsi davanti un avversario con il suo stesso peso, ma anche la sfortuna di dover fronteggiare un avversario ben più pesante e massiccio di lui!

Il più temibile lottatore dell’antichità era Milos di Kroton, che secondo la leggenda sviluppò la sua grande forza sollevando e trasportando un vitello appena nato fino a farlo diventare un bue di dimensioni reali.

Il pentathlon, l’antenato della disciplina moderna

Il disco e il giavellotto, che non mancano mai nelle moderne competizioni di atletica leggera, risalgono agli antichi greci, ma allora non erano eventi separati.

Facevano invece parte del pentathlon, una competizione che sopravvive ancora oggi (anche se in forma leggermente modificata), che comprendeva ben cinque gare, tra cui il salto in lungo, la corsa e la lotta.

I Greci avevano dei pesi di piombo o di pietra, chiamati halteres, che secondo alcuni i saltatori usavano nel tentativo di spingersi più lontano durante la gara, anche se alcuni storici ritengono che i pesi fossero usati soltanto in fase di allenamento.

Il pugilato, combattimenti sul ring…a mani nude!

A differenza del pugilato moderno, la versione dei Greci non prevedeva né un round né limiti di tempo.

I pugili combattevano semplicemente fino a quando uno dei due non era più in grado di continuare lo scontro oppure ammetteva la sconfitta.

Come nel wrestling moderno, i pugili greci gareggiavano in un’unica divisione aperta e indossavano sottili perizomi di pelle chiamati himantes intorno alle nocche e ai polsi, ma non guantoni imbottiti.

Il pancrazio, da gara di atletica a disciplina di lotta marziale

Il pancrazio era una gara atletica che combinava pugilato, lotta e calci.

Questo sport, il cui nome greco antico significa “vittoria completa”, era una sorta di versione senza esclusione di colpi delle moderne arti marziali miste.

I partecipanti utilizzavano alcune delle stesse tecniche delle moderne MMA, tra cui pugni, gomitate, ginocchiate, calci bassi alle gambe dell’avversario, prese di sottomissione e prese a terra.

Inoltre potevano colpire o calciare gli avversari all’inguine, cosa non consentita nelle MMA attuali e, a differenza dei lottatori moderni, non indossavano guantoni, il che consentiva loro di usare anche colpi di mano a coltello in stile karate. Erano vietati solo i morsi e le ferite.

Sostratos di Sikyon vinse numerose corone in competizioni di pancrazio piegando dolorosamente all’indietro le dita degli avversari fino a farle rischiare di rompersi.

Un’altra tecnica che, oggi, è vietata dalla MMA.

E invece dell’ottagono, con la superficie imbottita, i concorrenti combattevano in una fossa di sabbia.

Il risultato era una gara sanguinosa e brutale, che non solo metteva alla prova le abilità di combattimento di un atleta, ma anche la sua capacità di sopportare il dolore.

Come descrive lo scrittore del II secolo Luciano, nel pancrazio i combattenti si picchiavano fino a riempirsi la bocca di sabbia e di sangue, mentre un arbitro li incitava e lodava colui che era riuscito a sferrare un colpo particolarmente violento.

I premi per le competizioni sportive nell’antica Grecia: cos’erano?

Gli atleti dell’antica Grecia non guadagnavano nulla di paragonabile agli stipendi faraonici che ricevono oggi i calciatori o i professionisti dell’atletica leggera, ma avevano anche loro l’opportunità di vincere dei premi.

Alle Panatenee, i giochi che si svolgevano in onore di Atena e di Atene, il vincitore di una corsa a piedi riceveva duecento grandi vasi decorati pieni fino all’orlo di olio extravergine d’oliva della migliore qualità.

Il vincitore poteva venderlo e ricavarci un profitto oppure, se lo desiderava, usarlo come sua scorta personale a vita.

Tuttavia, per molti atleti dell’antichità, l’adulazione della folla e la possibilità di raggiungere l’immortalità grazie alle loro gesta e alle loro abilità, erano una ricompensa più che sufficiente.

Di Francesca Orelli

STORIA: Leggi anche:

Storia contemporanea: come un conflitto regionale si trasformò nella Prima Guerra Mondiale

La storia “tortuosa” delle diagnosi mediche

Civiltà minoica: non fu il fuoco a distruggerla, ma un cambiamento di cultura-II parte

Il disprezzo di Plauto verso i Greci

Condividi

Rispondi