L’effetto degli stati mentali sulle capacità di apprendimento

Chiunque abbia dovuto affrontare un’interrogazione a scuola, un esame universitario o anche una presentazione ai propri superiori in ufficio sa bene quanto possa risultare difficoltoso, alle volte, memorizzare una serie di informazioni.

Secondo diversi studi moderni il segreto per ricordare non starebbe, come troppo spesso ci è stato insegnato, nella ripetizione ossessiva delle nozioni, ma piuttosto nel coinvolgimento che il singolo individuo è in grado di sperimentare verso l’argomento in questione.

L’esperimento che lega l’apprendimento agli stati mentali

Una nuova ricerca della Carnegie Mellon University e dell’Università di Pittsburgh sottolinea ancora una volta che stati interni come il coinvolgimento (engagement) possono avere un impatto sull’apprendimento superiore rispetto alla quantità di tempo che si passa ad esercitarsi.

Esaminando il modo in cui i cambiamenti negli stati interni (l’attenzione, il coinvolgimento, l’eccitazione) possono alterare il modo in cui si impara, è stato possibile suggerire come l’apprendimento possa migliorare a seguito del comportamento dei soggetti, il tutto in base alla capacità di sperimentare ed utilizzare i suddetti stati.

Per testare questa ipotesi, i ricercatori si sono “armati” di una interfaccia cervello-computer (BCI) per osservare l’attività neurale dei soggetti mentre questi erano posti davanti a compiti che prevedevano la capacità di imparare gradualmente a eseguire determinati compiti al computer, ottenendo il risultato desiderato solo nel momento in cui l’attività della corteccia presentasse particolari pattern elettrici.

Notando occasionali e ampie fluttuazioni nell’attività della corteccia motoria, il team composto dalle due università coinvolte nel progetto ha compreso che queste fluttuazioni derivavano da un cambiamento improvviso nel compito da svolgere. Misurando il diametro pupillare dei partecipanti, inoltre, è stato possibile riscontrare una maggiore dilatazione della pupilla in questi particolari momenti.

Davanti ad un compito nuovo, il diametro pupillare appariva strettamente correlato al coinvolgimento dell’attività neurale, portando ad un effetto marcato nella “accensione” della corteccia motoria.

Il messaggio dello studio

I risultati ottenuti, in ultima analisi, suggeriscono che i cambiamenti negli stati interni (derivati ad esempio dalla novità del compito affrontato) sono in grado di influenzare sistematicamente il modo in cui il comportamento migliora con l’apprendimento.

Questo contribuisce ad aprire nuovi scenari nelle metodiche atte ad insegnare rapidamente nuove abilità alle persone, così come a migliorarle aumentandone la competenza.

Ancora una volta, l’idea che il cervello funzioni secondo moduli prestabiliti che si occupano esclusivamente di una specifica funzione viene messo in crisi, denotando invece una continua e complessa interazione tra aree apparentemente diverse dal punto di vista funzionale come la corteccia motoria ed aree maggiormente implicate nel coinvolgimento emotivo.

Il coinvolgimento, così come altri stati mentali dipendenti dalle emozioni sperimentate e dalla capacità di saper riscontrare un certo entusiasmo, sembra valere più di una preparazione basata sul semplice immagazzinamento in memoria e di uno stile di studio prettamente nozionistico.

Una lezione quasi ormai scontata per gli esperti del settore, ma ancora incredibilmente difficile da comprendere per il sistema scolastico, troppo spesso mirato ad imbottire le menti dei ragazzi di informazioni, e poco centrato sulla ricerca dell’entusiasmo e della voglia intrinseca di imparare, in fin dei conti presente per natura nell’essere umano.

Fonti:

“Learning is shaped by abrupt changes in neural engagement” by Jay A. Hennig, Emily R. Oby, Matthew D. Golub, Lindsay A. Bahureksa, Patrick T. Sadtler, Kristin M. Quick, Stephen I. Ryu, Elizabeth C. Tyler-Kabara, Aaron P. Batista, Steven M. Chase & Byron M. Yu. Nature Neuroscience

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