Canestra di frutta di Caravaggio

La Canestra di frutta di Caravaggio (nota anche come “fiscella”) è considerata il primo vero esempio del genere artistico denominato “natura morta”. Il dipinto, conservato presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano, è stato realizzato tra il 1594 e il 1598, nel periodo giovanile dell’artista, forse commissionato dal cardinale Borromeo quando il pittore si trovava a Roma. È proprio con questo dipinto che il Merisi manifesta il suo interesse per la pittura realista e per il soggetto inanimato, che qui pone non più come immagine complementare alla figura umana, ma come soggetto a sé stante ed elemento centrale della rappresentazione.

Il tema della natura morta, documentato già negli asarotos (“casa non spazzata”) e negli xenia (“doni augurali agli ospiti”) di epoca ellenistica dei secoli III e II a.C., si afferma come genere autonomo soltanto nei primi anni del XVII secolo. Lo sviluppo di questo genere artistico si deve soprattutto al rinnovamento iconografico della pittura devozionale introdotto dalla Controriforma, con il quale si riconobbe la capacità degli elementi naturali di raggiungere i fedeli in maniera semplice ed immediata grazie ai numerosi richiami evocativo-simbolici.

Descrizione dell’opera

Il soggetto protagonista della scena, raffigurato al centro del dipinto, è una cesta in vimini intrecciato con all’interno diversi frutti: grappoli di uva nera e bianca, alcune pere, dei fichi, una pesca e una mela bacata. La canestra di frutta, raffigurata minuziosamente in ogni suo particolare, è poggiata su un piano di legno e sporge leggermente in avanti verso lo spettatore, ponendosi in netto contrasto con lo sfondo neutro e privo di dettagli: con questo espediente, l’artista accentua la tridimensionalità del soggetto dipinto ed il suo impressionante realismo, che diventa quasi tangibile.

Caravaggio, Canestra di frutta, 1594-1598, Pinacoteca Ambrosiana, Milano.

Analisi dell’opera e iconografia

La Canestra di frutta di Caravaggio può essere considerata come un’allegoria della precarietà della vita umana: le imperfezioni della frutta (in alcuni casi eccessivamente matura o intaccata dalla malattia) e la cornice di foglie secche e fragili sono simbolo della vanitas, ovvero la caducità della vita, in cui la giovinezza e la salute sono soltanto un bene effimero soggetto al trascorrere del tempo.

Anche la leggera sporgenza della cesta oltre il piano simboleggia la precarietà e l’imperfezione della realtà e della stessa esistenza umana. Nonostante la composizione sia rappresentata da Caravaggio con un realismo estremo, la presenza di frutti appartenenti a stagioni diverse nega allo stesso tempo questo realismo, rendendolo di fatto soltanto apparente.

Nel dipinto confluiscono sostanzialmente due tendenze storiche artistiche: quella tardo-manierista interessata alle raffigurazioni degli elementi naturali e quella che pone un elemento diverso dalla figura umana come soggetto principale della scena. L’opera di Caravaggio supera così quella concezione rinascimentale secondo cui la figura umana era al centro di tutto e la natura veniva dipinta soltanto per svago personale.

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