L’effetto di positività nella vecchiaia: ecco perché gli anziani sono più felici (Parte I)
Il positivity bias (effetto di positività) è un fenomeno descritto dalla letteratura psicologica e neuroscientifica per il quale, durante l’anzianità, le persone tendono a prendere in considerazione maggiormente gli aspetti positivi della propria vita, concentrandosi di meno sugli stimoli negativi che potrebbero limitarne il benessere.
Nonostante i tanti deficit in diversi domini cognitivi e dal punto di vista psicologico, diverse evidenze dimostrano come gli anziani, paradossalmente, siano in grado di modulare le proprie emozioni in maniera più efficiente rispetto ad individui giovani.
Stando agli studi che hanno utilizzato il self-report come metodologia per indagare l’esperienza soggettiva durante l’invecchiamento, gli anziani tenderebbero ad essere maggiormente soddisfatti della propria vita, e poco inclini ad evidenziarne i lati negativi.
Esperimenti basati sull’utilizzo di macchinari come l’elettroencefalogramma (EEG) e la risonanza magnetica funzionale (fMRI) durante l’esecuzione di compiti riguardanti la capacità di utilizzare la propria attenzione, l’abilità di memorizzare e di regolare le proprie emozioni, hanno inoltre permesso di associare il positivity bias con un incremento dell’attività frontale.
Quando si presenta uno stimolo negativo ad una persona anziana, le aree anteriori del nostro cervello, implicate nella modulazione delle nostre emozioni, sembrano attivarsi maggiormente. Questo accade spesso in correlazione con il decremento dell’attività dell’amigdala, un’area deputata, tra le tante cose, all’elaborazione rapida dell’ambiente circostante e all’esperimento delle nostre emozioni. Sono diversi i modi in cui è possibile spiegare questo cambiamento.
All’interno della letteratura, le ipotesi che hanno trovato il maggiore riscontro nella ricerca sono principalmente due:
• La Anatomical preservation hypothesis, secondo cui il deterioramento anatomico legato all’età è meno pronunciato nelle regioni del cervello che mediano il processamento emotivo.
• La Functional compensation hypothesis, per la quale il deterioramento anatomico viene compensato da un incremento dell’attività cerebrale.
Per quel che riguarda il cambiamento dal punto di vista funzionale, negli anziani, sono stati inoltre proposti due modelli specifici su come questo shift possa avvenire: il modello PASA (posterior-anterior shift in aging) prevede un decremento nell’attività occipitale che si accoppierebbe ad un incremento dell’attività della corteccia prefrontale; il modello HAROLD (hemispheric asymmetry reduction in older adults), invece, è basato sulla riduzione dell’asimmetria nella gestione del carico cognitivo da parte della corteccia prefrontale.
Da un punto di vista comportamentale, le evidenze maggiori mostrano come gli anziani tendano a preferire gli stimoli positivi, ma anche come l’attenzione maggiore verso questi ultimi sia legata alla capacità della memoria a breve termine (working memory), fondamentale nel gestire il carico cognitivo e confrontare informazioni vecchie con quelle nuove.
Sembra infatti che in un compito con carico cognitivo più elevato, l’effetto di positività sia quantomeno attenuato. Inoltre, il contesto sembra avere un’influenza non indifferente sulle probabilità che questo sia presente o meno.
È importante chiarire che il fenomeno si presenta già ad un livello precoce di elaborazione, e che sfrutta quindi la disponibilità della working memory per influenzare le scelte e la predisposizione dei soggetti più anziani.
di Daniele Sasso
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