Bellezza e luce nell’arte di Giovanni Segantini

Il Circolo degli Artisti di Torino ha organizzato un curioso incontro per poter leggere in chiave psicologica e introspettiva il grande pittore italiano Giovanni Segantini. Relatrice è stata la psicologa psicoterapeuta svizzera Anna Piantanida che ha indagato la figura di Segantini (Arco 1858 – Monte Schafberg 1899) partendo dalla sua infanzia, permettendo così di comprendere e di addentrarsi intimamente nelle opere del grande artista.

La dottoressa Piantanida sottolinea che Segantini visse un’infanzia privata di un ambiente famigliare “sano”: perse la madre a soli sette anni e di conseguenza il padre lo inviò a Milano in custodia dalla sorella Irene, probabilmente anaffettiva, dove visse in maniera chiusa e isolata. Comunque, proprio a Milano, sviluppò la sua prima coscienza artistica, la passione per la pittura, per la luce e il colore, tanto da iscriversi ai corsi serali dell’Accademia di Belle Arti di Brera.

Le opere della fase giovanile traggono influssi dal verismo lombardo, sono vedute milanesi, di piccolo formato e con Il coro della chiesa di Sant’Antonio emerge già un attento studio della luce e viene notato dalla critica. Un Segantini non ancora divisionista che con l’opera Dopo il temporale (1883-85) attraverso sapienti giochi di luce e di spessori di colore modulati sulla tela, dà vita un momento di quotidianità legato alla pastorizia.

Segantini è considerato il capostipite indiscusso del Divisionismo e nel 1886 fu il primo a esplorare il linguaggio dei colori divisi e intendere la pennellata come uno strumento per dare luce, messo in atto per la prima volta nel dipinto Ave Maria a trasbordo.

Nell’opera Alla stanga (realizzata nel 1886 in circa sei mesi a Caglio, in Brianza; poco dopo il pittore si trasferì nei Grigioni, dove rimase sino al 1894 per poi spostarsi in Engadina ) sono già presenti le caratteristiche della poetica della montagna, della natura alpina nella sua imponenza, nella sua luminosità e infinitezza; la natura stessa diventa l’atelier dove far posare i contadini con i loro bovini, studiare i cambiamenti di luce ed avere le Prealpi come sfondo. Occorre sottolineare che l’artista ritrasse i contadini, i lavoratori senza alcuna idea di riscossa sociale, pur essendo in un momento storico di grandi cambiamenti, al contrario di quanto denunciato da Pellizza da Volpedo con i suoi dipinti.

La relatrice spiega che per Segantini “l’arte è una disciplina che permette il recupero del materno, è una riparazione e una ricreazione del rapporto madre-bambino” e che il “recupero del materno avviene anche attraverso l’amore infinito per la natura”. Infatti, una tematica assai cara al pittore, ma anche del Decadentismo, fu quella della maternità. Con Le due madri (1889) raggiunse il momento più alto di un Divisionismo naturalistico: è la sola luce, all’interno di una probabile stalla, che crea un’atmosfera intima e quasi esclusiva fra la donna e il suo bambino, fra la mucca e il suo vitellino, dove il comune denominatore è la maternità, esaltata a “tutti i livelli, poiché la natura è considerata madre, con sentimento panteistico”, prosegue la dottoressa Piantanida.

L’artista si volse anche verso tematiche simboliste, con invenzioni allegoriche miste di spiritualismo e misticismo, come Le cattive madri, riferito in senso negativo a donne che non avevano accolto la maternità.  

Nei dipinti di questo periodo aggiunse al colore ancora fresco, oro, argento in polvere o foglie spezzate per ulteriormente catturare la luce esterna, attraverso il luccichio del metallo. 

Tra le ultime opere dell’artista è il Trittico dell’Engadina o Trittico della vita, una parte del pindarico padiglione progettato (e non realizzato) per l’Esposizione Universale di Parigi proprio per esaltare la bellezza dell’Engadina: qui furono esposti solo tre dipinti: La vita, evocata con una maternità, La natura, con una scena dedicata al lavoro dei pastori e La morte, con un funerale in montagna.

Dunque Segantini pittore della luce che tende sempre ad innalzarsi, andare verso l’alto:

“tendevo sempre ad innalzarmi: dai colli passi ai monti…fino a che internatomi nelle Alpi dei Grigioni… Fu in questi paesi che fissai più arditamente il sole, che amai i suoi raggi e li volli conquistare; fu qui che più studiai la Natura nelle forme sue più vive e nel colore suo più luminoso…” (G. Segantini, “Autobiografia e scritti sull’arte).

Giannamaria Villata

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