Pierfrancesco Favino è una delle personalità più importanti e poliedriche del cinema italiano. Tra doppiaggio, recitazione e produzione, nel corso della sua carriera si è aggiudicato importanti premi e riconoscimenti tra cui tre David di Donatello e cinque Nastri d’Argento.
Ospite all’ottantesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ha dichiarato durate un’intervista di non essere troppo entusiasta della rappresentazione degli italiani nei film stranieri.
Partendo da un discorso relativo alle mancate opportunità nel cinema per i giovani attori emergenti, Favino ha ampliato la discussione allacciandosi al biopic di Michael Mann dedicato alla figura di Enzo Ferrari, presentato in anteprima proprio durante il Festival di Venezia.
A ricoprire il ruolo del protagonista è infatti l’attore statunitense Adam Driver che, secondo Favino, non sarebbe adatto a rappresentare la cultura italiana nonostante l’indiscusso talento, poiché andrebbe a ricalcare il cliché tipico degli anni Cinquanta dell’italo-americano del New Jersey con tanto di pronuncia italiana “maccheronica”.
C’è un tema di appropriazione culturale, non si capisce perché non io ma attori di questo livello non siano coinvolti in questo genere di film che invece affidano ad attori stranieri lontani dai protagonisti reali delle storie, a cominciare dall’accento esotico. Se un cubano non può fare un messicano perché un americano può fare un italiano? Solo da noi. Ferrari in altre epoche lo avrebbe fatto Gassman, oggi invece lo fa Driver e nessuno dice nulla. Mi sembra un atteggiamento di disprezzo nei confronti del sistema italiano, se le leggi comuni sono queste allora partecipiamo anche noi.
E poi ancora, più avanti:
Adesso a Berlino c’era un film su Golda Meir, interpretata da Helen Mirren che non è ebrea. E questa cosa ha generato un grande caso, no? Ma come facciamo noi se le nostre storie non vengono rappresentate da noi culturalmente?
È chiaro che una figura di spicco come la sua all’interno dell’industria cinematografica abbia una certa risonanza, e dunque non sono mancate le risposte alla dichiarazione di Favino, sia in termini positivi che negativi.
Le reazioni alle dichiarazioni di Pierfrancesco Favino
C’è chi, come l’attore, produttore e regista Luca Barbareschi l’ha appoggiato affermando che gli attori italiani non dovrebbero piegarsi agli americani e che tutto il mondo dovrebbe recitare nella propria lingua di appartenenza; e ancora il regista Pupi Avati, il quale ha dichiarato che, dal momento che gli statunitensi sono soliti produrre film su personalità italiane, dovrebbero scegliere attori italiani per interpretarle.
Tuttavia, c’è anche stato chi, sui social, ha sottolineato l’incoerenza di Favino, avendo egli stesso interpretato personaggi che fanno parte della cultura di altri paesi. Ricordiamo, ad esempio, il ruolo del francese D’Artagnan ne “Moschettieri del re – La penultima missione” di Giovanni Veronesi.
Ma la critica più aspra e dura è arrivata dal giovane attore e attivista Pietro Turano, che nelle sue storie su Instagram si è scagliato aspramente contro le dichiarazioni di Favino, che col paragone con ebrei, cubani e i messicani ha erroneamente trattato gli italiani come una categoria marginalizzata.
Chi ha ragione e chi torto? Ai posteri l’ardua sentenza, ma ciò che è certo è che l’intervista di Favino non solo ha creato grande scalpore a Venezia 80, ma ha potenzialmente aperto un vaso di Pandora fatto di polemiche e risentimenti.