“Maus” di Art Spiegelman: il fumetto più famoso che racconta l’Olocausto

Raccontare per non dimenticare il dramma, il dolore e l’orrore dell’Olocausto. La missione è stata affidata ad ogni mezzo comunicativo, dai romanzi alle lettere, dai diari ai film ed anche, naturalmente, ai fumetti. 

Genere letterario sempre più utilizzato, il fumetto è oggi una presenza costante in librerie e classifiche; era un po’ meno gettonato nel 1992, quando il fumetto dal titolo “Maus” vinse il prestigioso premio Pulitzer.

Ad aggiudicarsi il primo premio Pulitzer per un fumetto (e, ad oggi, per l’unica volta) fu il fumettista Art Spiegelman: Spiegelman affrontò il tema delicato dell’Olocausto con i fumetti, linguaggio narrativo che – si può dire – venne consacrato in quell’occasione.

Topi e gatti

Figlio di due deportati, Spiegelman ci racconta l’Olocausto in una maniera insolita: a muoversi lungo le strips ci sono topi e gatti antropomorfi scelti dall’autore per rappresentare rispettivamente ebrei e nazisti.

Non è un caso che il titolo del libro sia Maus, che in tedesco vuol appunto dire topi. Accanto ai topi e ai gatti, ci sono i maiali, utilizzati per i polacchi, le rane, che rappresentano i francesi, i cani, simbolo degli americani e le alci, al posto degli svedesi.

Venti anni di lavoro per Maus

Art Spiegelman impiegò venti anni della sua vita per mettere a punto Maus, che in prima battuta venne pubblicato a puntate sulla rivista “Raw” fondata da lui e da sua moglie, dal 1971 al 1991, e successivamente in un unico volume, nel 1992.

La storia si articola in due parti: Mio padre sanguina storia è dedicata alla vita dei genitori di Spiegelman prima della deportazione nel campo di concentramento; la seconda parte si intitola E qui sono cominciati i miei guai e riguarda l’esperienza della deportazione.

Oltre alla narrazione relativa all’Olocausto, Maus esplora anche il rapporto fra Spiegelman e il padre, irremediabilmente influenzato dall’esperienza di deportazione: con alcune incursioni nel presente, Spiegelman mette in evidenza come la sua vita sia stata segnata dal vissuto dei genitori.

Pur non essendo stato deportato, Spiegelman è rimasto influenzato dall’orrore vissuto sulla pelle dei genitori e, in particolare, è molto doloroso il rapporto con il padre che assume sovente comportamenti spinosi.

L’importanza di Maus è plurima nella letteratura e nella società di oggi: da una parte ha dato visibilità e rilievo al genere letterario del fumetto che si è rivelato assolutamente adeguato anche per la trattazione di tematiche sensibili, come l’Olocausto.

Dall’altra parte, ha acceso una luce sullo strascico, poco narrato, della deportazione sulle generazioni successive a quelle che lo vissero: il male è destinato a lasciare segni indelebili talmente profondi da incidere anche chi non lo ha vissuto in prima persona.

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