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Prima osservazione diretta di un pianeta squarciato e inghiottito dalla propria stella

Una stella zombie che dopo la propria stessa morte fa a pezzi uno dei suoi pianeti e se lo mangia: si tratta, è chiaro, di una descrizione colorita… ma sostanzialmente corretta. E gli astronomi hanno potuto per la prima volta vedere l’evento mentre si verificava.

La maggior parte delle stelle della Via Lattea, addirittura il 97% secondo un recente studio, si evolverà (se già non l’ha fatto) allo stadio di nana bianca: nella nostra galassia ne abbiamo individuate 300.000 ed è il destino cui andrà incontro anche il nostro Sole, fra cinque miliardi di anni.

Dopo essersi espanso diventando una Gigante Rossa fino a raggiungere forse anche l’orbita della Terra ed esaurito il carburante costituito da idrogeno ed elio, esso imploderà espellendo con violenza la sua scorza gassosa esterna, investendo i pianeti e gli altri oggetti che incontrerà sul proprio cammino. Alla fine al posto della nana gialla resterà una decisamente più piccola e ultradensa nana bianca, il nucleo collassato della stella originaria.

Il Sole non possiede una massa sufficiente a evolversi in stella di neutroni o buco nero

È ciò che è accaduto a G 29-38, situata a 57 anni luce di distanza da noi. Quando in seguito il materiale superstite dei corpi planetari o asteroidali viene attirato nella stella a una velocità sufficientemente alta, ne colpisce la superficie formando un plasma riscaldato dallo shock.

Questo plasma, con una temperatura compresa tra 100.000 e un milione di gradi kelvin, si deposita sulla superficie e mentre si raffredda emette raggi X che possono essere rilevati. Nonostante essi siano altamente energetici, a noi ne giungono piccole quantità, rilevabili solo grazie a strumenti ultrasensibili. Ma è principalmente proprio con tale tecnica che è possibile studiare fenomeni celesti di questo genere.

Il Chandra X-ray Observatory, telescopio orbitale della NASA, è specializzato proprio nelle osservazioni in questa gamma dello spettro elettromagnetico. L’affinamento delle capacità rispetto ad altri strumenti del passato ha permesso di isolare G29–38 dalle interferenze causate da altre sorgenti di raggi X e “vedere” per la prima volta in modo diretto l’accrescimento della massa stellare dovuto al precipitare dei detriti rocciosi.

Finora infatti esistevano prove indirette di questo fenomeno, grazie all’analisi dello spettro di un migliaio di nane bianche, fra il 25 e il 50% di quelle osservate, che mostravano presenza di elementi pesanti come ferro, calcio e magnesio a inquinare le loro atmosfere altrimenti essere composte di elementi leggeri.

Una nana bianca non è in grado di generare nuova energia, ma può splendere ancora per miliardi di anni

Questi elementi pesanti si trovano nell’atmosfera stellare da relativamente breve tempo, altrimenti sarebbero già sprofondati nel suo interno. Ma le analisi si basavano su lunghezze d’onda ottiche e ultraviolette, con cui si può misurare l’abbondanza di determinati elementi sulla superficie della stella e ricavarne la composizione dell’oggetto da cui provenivano.

“Abbiamo finalmente visto del materiale entrare effettivamente nell’atmosfera della stella. È la prima volta che siamo stati in grado di rilevare un tasso di accrescimento non legato ai modelli di evoluzione previsti per l’atmosfera di una nana bianca. L’aspetto di maggior interesse è che ciò concorda molto bene con le ipotesi elaborate finora.” spiega il dottor Tim Cunningham del Dipartimento di Fisica dell’Università di Warwick.

“Prima d’oggi, le misurazioni dei tassi di accrescimento utilizzavano la spettroscopia e dipendevano da modelli di nane bianche. Questi sono modelli numerici che calcolano la velocità con cui un elemento sprofonda dall’atmosfera nella stella e che ti dicono quanta materia stia cadendo nell’atmosfera osservando il tasso di accrescimento. È quindi possibile effettuare un’elaborazione all’indietro e calcolare la quantità di elementi presente nel corpo genitore, sia esso un pianeta, una luna o un asteroide”.

“La parte davvero eccitante di tale risultato è che stiamo lavorando a una lunghezza d’onda diversa, i raggi X, e questo ci consente di sondare un tipo di fisica completamente diverso. Il rilevamento ottenuto fornisce la prima prova diretta che le nane bianche stanno attualmente accumulando i resti di vecchi sistemi planetari. Sondare l’accrescimento in tal modo fornisce una nuova tecnica per studiare questi sistemi, offrendo uno sguardo sul probabile destino delle migliaia di sistemi esoplanetari, incluso il nostro sistema solare”.

La ricerca A white dwarf accreting planetary material from X-ray observations è stata pubblicata su Nature (2022).

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