13 Novembre 2024
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Alcune decine di anni fa, i film di fantascienza rappresentavano una finestra su un futuro lontano, a volte inverosimile e caratterizzato dai confort e dalle tecnologie più impensabili. L’impressione, arrivati nell’anno 2020, è che realtà e sci-fi non siano poi due mondi così distanti, e che la tendenza dell’uomo a voler trascendere i propri limiti mortali rimanga ancora una volta l’ultima frontiera da attraversare.

Il mind uploading (trasferimento della mente) rappresenterebbe un processo per cui una “copia” della mente viene prelevata da un cervello mediante una scansione estremamente accurata, e riprodotta fedelmente attraverso un modello computazionale.

Una volta creata, la copia potrebbe, secondo i cosiddetti futurologi, essere supportata da un modello anatomico tridimensionale, o anche essere “installata” in un computer.

L’immortalità della mente e la mortalità del corpo

L’idea, che per nostra fortuna non dispone ancora degli strumenti di intelligenza artificiale necessari per essere considerata più di una suggestione, potrebbe portare ad un mondo utopistico (o distopico, a seconda dei punti di vista) nel quale nessuno muore davvero.

Almeno nelle intenzioni, il discorso è semplice: se siamo in grado di mappare perfettamente le connessioni sinaptiche delle circa 86 miliardi di cellule all’interno del cervello, arrivando ad ottenere un modello del suo funzionamento, alla morte di una persona si potrebbero semplicemente scaricare queste informazioni in un ambiente computerizzato, dove ognuno possiede il proprio avatar virtuale, o addirittura in un nuovo corpo.

Limiti tecnici ed etici

Dubbi? Beh si, in effetti parecchi. Anche se la strada sembra percorribile, il connettoma umano (ovvero l’insieme di tutte le connessioni presenti nel cervello di un individuo) rappresenta un sistema ancora considerevolmente sconosciuto.

Pur ricorrendo sempre più frequentemente a modelli computerizzati per provare a spiegare il funzionamento di questi collegamenti, le neuroscienze computazionali devono spesso ricorrere a degli artifizi matematici che semplifichino processi biologici molto complessi, e che sono ancora lontani dal poter definire il cervello nella sua totalità.

Sono diversi gli studiosi che hanno provato a stimare la potenza di calcolo che sarà necessaria per ottenere delle simulazioni che possano essere definite complete.

In base a questi e alla famosa legge di Moore, la quale prevede che “la complessità di un microcircuito, misurata ad esempio tramite il numero di transistor per chip, raddoppia ogni 18 mesi, e quindi quadruplica ogni 3 anni”, il mind uploading potrebbe diventare realtà nel giro di qualche decennio, sempre che la crescita esponenziale del processo tecnologico rimanga tale.

In ogni caso, anche se tecnicamente possibile, un fenomeno del genere sconvolgerebbe sicuramente tutto ciò che sappiamo della vita e dell’etica umana.

Un mondo nel quale chi può permetterselo si mantiene in vita attraverso il trasferimento della propria mente in un computer è sconcertante di per sé, ma la questione più assurda della faccenda è un’altra: copiare la coscienza di una persona, inserirla in una macchina (se non in un altro corpo!), equivale davvero a dire che quella persona sia sopravvissuta?

Farsi un’idea del mind uploading

L’argomento è ostico e di difficile comprensione. Per ora, i non addetti ai lavori potrebbero farsene un’idea attraverso alcuni romanzi fantascientifici come il racconto The Last Question (1956) di Isaac Asimov.

Se siete proprio pigri, forse la serie tv Dollhouse di Josh Whedon (2009) potrebbe essere un ottimo espediente per interrogarsi, quantomeno, sulle conseguenze che una tecnologia simile potrebbe comportare sulla società.

D’altronde, la fantascienza stessa è risultata spesso essere un presagio di quel che sarebbe successo in futuro, ma solo la realtà potrà dimostrarci fino a dove e disposto a spingersi il genere umano.

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