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Canguri arboricoli nell’Australia del Pleistocene

“Probabilmente non mi crederete, ma penso si arrampicasse sugli alberi!” sono le parole che Natalie Warburton, ricercatrice presso il Centre for Climate-impacted Terrestrial Ecosystems della Murdoch University di Perth, ricorda di aver detto ai suoi colleghi dopo aver visto i grossi artigli curvi dei fossili di canguro rinvenuti nel deserto australiano.

Dai 50° di giorno al gelo notturno

Più precisamente, i resti sono stati portati alla luce nelle grotte del Thylacoleo, così denominate per il precedente e importante ritrovamento del simil-leone marsupiale australiano. Si trovano nella Nullarbor Plain, una vasta area desertica, lunga 1.100 chilometri, il cui nome derivante dal latino significa privo di alberi e descrive precisamente lo scenario arido e sterile osservabile oggi.

La scoperta dell’attitudine ad arrampicarsi sugli alberi giunge del tutto inattesa: sebbene tutti i macropodidi discendano da antenati arboricoli simili al possum, essi si sono da tempo evoluti per la vita a terra, con la sola eccezione di un lontano cugino in Nuova Guinea. Ma c’è di più: questo nuovo studio fornisce significative indicazioni sull’habitat in cui si muoveva la fauna dell’epoca: esso non solo era assai diverso da quello odierno, ma probabilmente differiva in modo sensibile da quanto finora ipotizzato in base alle conoscenze geologiche e ai ritrovamenti di flora fossile.

Perché il canguro sviluppò la capacità di arrampicarsi sugli alberi? Per sollevarsi è necessaria una forza notevole con grande dispendio di energia; sugli alberi doveva perciò essere presente un’importante fonte di cibo, per giustificare un simile sforzo fisico ed evolutivo.

La megafauna si estinse dopo un regno di due milioni di anni

I ricercatori si trovano quindi a dover reinterpretare il significato dei dati finora disponibili, sia dal punto di vista evolutivo che ecologico, alla luce del nuovo ritrovamento. La stessa sparizione della megafauna australiana, che includeva canguri da cento chili, vombati giganti e creature come il summenzionato Thylacoleo avvenne 50.000 anni fa per ragioni non chiare: si ritiene il maggior responsabile sia un cambiamento climatico, ma si tende sempre più a ritenere decisivo anche l’intervento dell’uomo.

Non si tratta in realtà del primo ritrovamento di resti di questo canguro: erano stati rinvenuti nel 1989 pochi resti parziali, denti e mandibola, allora erroneamente identificati come appartenenti a Wallabia kitcheneri, mentre i due scheletri praticamente completi (un maschio e una femmina di circa 40 chili) ora portati alla luce permettono di classificare tutti i fossili nel sottogenere Congruus kitcheneri.

Fonte:“The skeleton of Congruus kitcheneri, a semiarboreal kangaroo from the Pleistocene of southern Australia”, Royal Society Open Science, 24 marzo 2021.

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