Storia

Vendetta, terribile vendetta: le 6 rivincite più brutali della storia

Giusta o sbagliata che sia, la vendetta ha sempre fatto parte della natura umana, basti pensare alle numerose saghe, libri e poesie scritte sul tema. Ci sono però 6 persone, insospettabili, che per vendicarsi, e ristabilire “l’onore perduto”, hanno commesso atti brutali e che farebbero rabbrividire anche i peggiori criminali dei nostri giorni. Ecco chi sono.

La vendetta è un sentimento che, fin dalla sua comparsa sulla Terra, ha sempre accompagnato l’essere umano.

Quante volte infatti, dopo che qualcuno ci ha fatto un torto, in un primo momento abbiamo provato il desiderio, primordiale, di vendicarci per “riparare all’offesa”?

Tante volte e, anzi, forse tra di noi c’è anche chi, dopo averla pianificata nei minimi dettagli, l’ha pure messa in atto.

La storia, manco a dirlo, è piena di vendette più o meno celebri, ma ce ne sono sei che, per la loro efferatezza, farebbero rabbrividire anche i peggiori criminali dei nostri giorni.

E a metterle in atto, oltretutto, non sono stati banditi, ma personaggi insospettabili e che, guarda caso, spesso vengono anche studiati a scuola o sono materia di esame all’università.

Curioso di saperne di più? Bando alle chiacchiere allora: ecco le 6 vendette più brutali della storia e che potrebbero entrare, a pieno titolo, in un film horror.

1.Giulio Cesare VS i pirati: una “fredda” vendetta

La storia racconta che Giulio Cesare (autore del De Bello Gallico e del De Bello Civili, nonché famoso condottiero e politico romano), quando aveva 25 anni, stava navigando sul mar Egeo per recarsi in Grecia per motivi di studio.

D’un tratto venne catturato dai pirati, che all’inizio chiesero 20 talenti d’argento come riscatto, ma Cesare, sentendosi insultato, chiese loro di aumentare il riscatto e di proporne uno che si addiceva alla sua statura.

I pirati aumentarono quindi il riscatto, portandolo a 50 talenti d’argento (una somma altissima per l’epoca, pari ad oltre un milione dei nostri euro).

I giochi per loro però erano appena iniziato, perché per tutta la durata della sua prigionia, non solo Giulio Cesare li prese in giro, ma in più promise loro che li avrebbe catturati e crocifissi.

I pirati, neanche a dirlo, si fecero un sacco di risate, ma il loro divertimento durò poco.

Gli amici di Cesare riuscirono a raccogliere la somma necessaria e, successivamente, lo liberarono. Ed è qui che cominciò la vendetta di Cesare.

Dopo essere stato liberato, il futuro terrore della Gallia radunò un piccolo esercito, poi si recò sull’isola dove i pirati si erano accampati, li catturò e li fece crocifiggere direttamente sul posto.

Giulio Cesare, oltre a recuperare tutti i soldi dei suoi amici, per la prima volta dimostrò di essere un uomo di parola…a prezzo della vita dei pirati.

2.Pietro I VS gli assassini della donna che amava: una vendetta “passionale”

La vita nel Portogallo medievale, così come nel resto dell’Europa di quel periodo, era molto imprevedibile, e non a caso: c’erano continui cambiamenti nelle alleanze.

Comunque, per ripararsi da questo pericolo, nel 1340 il re Afonso IV del Portogallo decise di far sposare suo figlio, Pietro (o Pedro) con Costanza, figlia di Juan Manuel, principe di Villena, per suggellare un’alleanza.

Se non fosse che, insieme a Costanza, arrivò una dama di compagnia, Ines De Castro, di cui il principe Pietro I si innamorò perdutamente.

Costanza morì nel 1345, ma la storia d’amore tra Ines e Pietro continuò. Afonso, non sopportando oltre la presenza di quella dama di compagnia, né che si trastullasse con il figlio, decise di bandirla dalla corte.

Pietro I si rifiutò di sposare qualsiasi donna che non fosse Ines. Afonso IV quindi, vedendo che con l’esilio aveva fallito, nel 1355 inviò tre uomini per uccidere Ines, che venne decapitata proprio davanti a suo figlio.

Furioso, Pietro inizialmente cercò di vendicarsi contro il padre, ma fu sconfitto. Afonso, tuttavia, morì poco dopo e il suo rampollo diventò re nel 1357 con il nome di Pietro I.

Il giovane monarca però non aveva mai dimenticato quello che gli assassini inviati da suo padre avevano fatto ad Ines, la sua amata, e la sua vendetta fu terribile.

Dopo numerose ricerche, riuscì a trovarne due (del terzo non si conosce la sorte) e, dopo averli sottoposti ad un processo pubblico taroccato, li fece giustiziare.

In che modo? Strappò loro, letteralmente, i loro cuori con le sue stesse mani. Crudele, questo sì, ma apparentemente il sovrano scelse di farsi giustizia in questo modo per quello che avevano fatto al suo cuore.

Dopotutto i portoghesi non lo chiamavano Pietro il Giusto per niente.

3.Enrico Dandolo VS Impero Bizantino: una “giusta” vendetta

All’inizio del XII secolo l’Impero Romano d’Occidente era crollato, lasciando l’Impero Bizantino come l’unica vera potenza nell’Europa Orientale.

La Repubblica di Venezia, in quei tempi di fermento, si dimostrò un rifugio sicuro, o almeno, fino al 1171.

In quell’anno il governo bizantino decise di confiscare le proprietà di tutti i veneziani che vivevano nell’Impero e di imprigionarli.

Così la Repubblica inviò Enrico Dandolo (che allora aveva già 60 anni) come suo emissario per parlare con l’Impero Bizantino.

Il negoziato però non cominciò neanche, perché i bizantini decisero di accecare Dandolo e di continuare con le loro prepotenze nei confronti dei veneziani.

Trent’anni dopo però il novantenne Dandolo, che solo cinque anni prima era stato eletto Doge di Venezia, non solo guidò la quarta Crociata, ma la portò fino a Costantinopoli per saccheggiare la città.

La città cadde ed Enrico Dandolo, pur se completamente cieco, ebbe la sua vendetta.

4.Pierre Picaud VS i suoi amici: una vendetta in stile Conte di Montecristo

Sì, la storia di Pierre Picaud sembra molto a quella del Conte di Montecristo, e non a caso: si dice che Alexandre Dumas si fosse ispirato alla sua storia, e ai rapporti di polizia che la narravano, per scrivere uno dei suoi romanzi più celebri.

Pierre Picaud era un produttore di scarpe, molto benestante, che presto si sarebbe sposato con la sua amata. La vita, insomma, stava andando bene ed era molto tranquilla per lui.

Tuttavia tre “amici”, gelosi del suo successo – Loupian, Solari e Chaubert – lo accusarono falsamente di essere una spia inglese e Picaud fu mandato in prigione.

A quanto pare, mentre era lì, fece amicizia con un ricco prete, un certo padre Torri. Diventarono così amici che, quando morì, il prete gli lasciò in eredità la sua proprietà.

Quando Pierre Picaud uscì di prigione, mise le mani sul denaro lasciatogli dal prete, cambiò nome e trascorse i successivi dieci anni a tramare la sua vendetta.

Chaubert venne assassinato, mentre Solari avvelenato, ma lasciò la punizione più brutale a Loupian, che nel frattempo si era sposato con l’ex fidanzata di Picaud.

Con l’inganno spinse la figlia di Loupian a sposare un criminale e, quando lo fece mandare in prigione, la figlia di Loupian morì per lo shock.

Manipolò poi il figlio di Loupian, facendogli rubare dell’oro (per il quale fu arrestato) e, alla fine, bruciò il ristorante di Loupian fino alle fondamenta.

Anche il figlio di Loupian finì in prigione e, da ultimo, Picaud pugnalò a morte lo stesso Loupian.

Qui però finiscono le somiglianze con la storia classica. Un quarto amico, Allut, conosceva la vicenda originale dei signori Loupian, Chaubert e Solari, ma scelse di non riferirla.

Capendo che Picaud non si sarebbe fermato fino a quando non avesse compiuto per intero la sua vendetta, decise di rapirlo e di ucciderlo.

Ed è così che conosciamo la vera storia del Conte di Montecristo: a causa della confessione di Allut sul letto di morte. Anche se la parte su padre Torri è un po’ confusa.

5.Gengis Khan VS Impero Khwarezmid: la “terribile” vendetta mongola

All’inizio del XIII secolo l’Impero Mongolo aveva appena guadagnato un confine con l’Impero Khwarezmid.

La maggior parte delle persone pensavano che avere un confine con Gengis Khan, uno dei conquistatori più famosi di tutti i tempi, fosse una brutta cosa, pertanto quando lui inviò una carovana di 500 uomini ai suoi nuovi vicini, il Kwarezmid Shah si insospettì.

Tuttavia la maggior parte degli storici afferma che Gengis Khan non aveva secondi fini e che era interessato solo al commercio. Anzi: voleva anche instaurare un rapporto di alleanza, e un’amicizia, con i nuovi vicini.

Lo scià però non ebbe il vantaggio del senno di poi e catturò i suoi 500 uomini, sostenendo che erano spie.

Invece di attaccare, Gengis Khan mandò tre ambasciatori (due mongoli e un musulmano) per garantire la libertà dei suoi 500 uomini.

Di nuovo, però, lo scià non rispose bene (né in modo intelligente). Fece infatti rasare le teste dei due ambasciatori mongoli e decapitare l’ambasciatore musulmano.

E non è finita qui: ordinò anche l’esecuzione immediata di tutti i 500 uomini, che si trovavano ancora in carcere.

Tanto bastò perché Gengis Khan non solo si arrabbiasse, ma decidesse di lasciare da parte i suoi propositi di buon vicinato e di vendicarsi dello scià. E in meno di due anni l’Impero Khwarezmid cessò di esistere.

6.I 47 ronin VS funzionario imperiale: la vendetta “fedele”

Probabilmente una delle storie di vendetta, di lealtà e di dovere più famose, tanto da essere trasformata in un film.

Nel 1701 due signori feudali, Asano Naganori e Kamei Korechika, ricevettero l’ordine di organizzare un ricevimento per gli inviati dell’imperatore al Castello di Edo.

Un funzionario imperiale, Kira Yoshinaka, doveva istruirli nell’etichetta e nella condotta di corte necessarie.

Kira però era scortese e arrogante e continuò a rimproverare Asano, dicendo che avrebbe smesso solo quando avrebbe ricevuto una tangente.

Asano, che non poteva sopportare gli abusi, si scagliò contro Kira con un pugnale.

La ferita di Kira non era grave, ma qualsiasi forma di violenza, anche estrarre un pugnale, era proibita nel Castello di Edo.

Per questo Asano fu costretto a commettere seppuku (suicidio rituale), la sua proprietà venne confiscata, la sua famiglia rovinata e tutti i suoi samurai furono resi ronin (cioè senza padrone).

Non tutti gli uomini di Asano però accettarono il provvedimento. 47 dei suoi samurai giurarono in gran segreto di vendicare il loro padrone, anche se la punizione sarebbe stata la morte.

Così per due anni i 47 ronin si dispersero, diventando monaci o commercianti. Il loro capo, Oishi, arrivò al punto da visitare i bordelli, bere di notte e agire in modo osceno, in una maniera che non si addiceva ad un samurai.

Tutto questo per infondere in Kira e nei suoi uomini un falso senso di sicurezza.

Infine, il 30 gennaio 1703, due anni dopo l’incidente iniziale, i 47 ronin attaccarono la casa di Kira.

Trovarono un Kira tremante, gli tagliarono la testa e la offrirono al tempio dove era sepolto Asano.

Dopo essersi arresi allo Shogun, 46 ronin commissero seppuku, mentre il 47esimo fu perdonato.

Di Francesca Orelli

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