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L’abitudine italiana di bere caffè e la disfatta di Caporetto

Per qualsiasi italiano che si rispetti, il caffè è culturalmente riconosciuto come una bevanda centrale non solo nel fabbisogno giornaliero di energie, ma anche come mezzo di scambio sociale in ambienti informali e lavorativi.

Nonostante il caffè in Italia possegga un ruolo di una certa importanza rispetto ad altri stati, meno nota è la ragione che ha fatto del caffè uno dei simboli culinari del Bel paese.

La disfatta di Caporetto e le sue inesattezze storiche

Per comprendere le origini dell’esplosione nel consumo di caffè, è necessario passare per uno degli eventi storici più drammatici (e imbarazzanti) del nostro paese. Il 24 ottobre del 1917, nel corso della Prima guerra mondiale, forti dell’aiuto del “fratello maggiore” tedesco le truppe austriache ribaltarono uno scontro che aveva visto fino a quel momento attaccare ed avanzare l’esercito italiano.

Sulla battaglia (o meglio disfatta) di Caporetto se ne sono dette tante, a partire dal capo di Stato maggiore all’epoca in carica Luigi Cadorna il quale, scaricando la colpa sull’esercito, comunicò al governo come le proprie truppe si fossero arrese e fossero fuggite vigliaccamente.

Altri ancora, sostennero come l’attacco “a sorpresa” avesse gettato nel panico l’esercito italiano, in quel momento non pronto a combattere e non consapevole del pericolo incombente.

Come oggi è noto, entrambe queste affermazioni sono, in buona parte, delle falsità. Non furono certo i soldati ad avere la colpa della disfatta; piuttosto, fu la totale disorganizzazione e rigidità di pensiero da parte di chi li guidava a determinarne la sconfitta e la ritirata disperata.

Inoltre, l’idea che gli eserciti austro-ungarico e tedesco avessero compiuto la loro sortita senza che ve ne fossero avvisaglie è totalmente da escludere.

L’Italia, che come già detto, aveva fino a quel momento attaccato gli austriaci, aveva raccolto diverse intercettazioni e documenti che dimostravano come l’esercito nemico, adesso rafforzato dall’aiuto del Kaiser Guglielmo II, avrebbe da lì a poco sferrato un assalto decisivo.

Tanti, tra i quali lo stesso Cadorna, ritennero fino all’ultimo che si trattasse di un bluff. Fu soprattutto per questo, oltre che per una sostanziale differenza qualitativa nelle attitudini a disporre strategie militari, che gli italiani furono sbaragliati a tal punto da dover indietreggiare di circa 150 chilometri fino al Piave.

Da Caporetto al caffè che beviamo ogni giorno

Nonostante queste certezze raccolte negli anni con l’ausilio degli storici, a causa delle comunicazioni impulsive di Cadorna buona parte del mondo ricorda ancora oggi Caporetto per la fuga dei vigliacchi italiani, e l’attacco dei tedeschi come un colpo scaltro che colse di sorpresa un esercito troppo mollo e poco attento.

Fu proprio per questo che con una circolare, nel novembre del 1917 venne deciso che ogni giorno ai soldati sarebbero stati somministrati circa otto grammi di caffè e dieci di zucchero. In seguito, queste dosi furono addirittura aumentate fino a 20 grammi.

La disfatta di Caporetto, anche se passata alla storia attraverso diverse inesattezze che hanno sottolineato soprattutto una presunta vigliaccheria e mancanza di reattività dell’esercito italiano, piuttosto che la sua effettiva disorganizzazione nei sui ranghi più elevati, ha di fatto consolidato una tradizione legata al caffè e alla sua assunzione giornaliera.

Il popolo italiano, che prima consumava in misura più moderata questa iconica polvere scura dal gusto amaro, ha così modificato le sue abitudini ponendo il caffè al centro del proprio quotidiano; al punto che ad oggi, ogni mattina, prima di svolgere le nostre attività non possiamo proprio farne a meno.

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