Apartheid: i punti chiave che ne decretarono la fine
Una combinazione di fattori interni, uniti ad una grande resistenza internazionale, portarono alla fine dell’Apartheid, il regime bianco suprematista che dal 1948 al 1991 sconvolse il Sudafrica. Ecco quali furono i più rilevanti.
La fine formale dell’Apartheid in Sudafrica è stata conquistata a gran fatica.
Ci sono voluti decenni di attivismo, sia all’interno che all’esterno del Paese, così come la pressione economica internazionale, per porre fine al regime che permise alla minoranza bianca del Paese di soggiogare la maggioranza nera.
Questo sforzo culminò, infine, nello smantellamento dell’Apartheid, avvenuto tra il 1990 e il 1994.
Il 27 aprile 1994 il Sudafrica elesse Nelson Mandela, un attivista che aveva trascorso 27 anni in prigione per essersi opposto pacificamente all’Apartheid, durante le prime elezioni presidenziali libere.
Apartheid: chi c’era dietro il suo governo?
La minoranza bianca che controllava il governo dell’Apartheid era costituita da Afrikaaner, discendenti per lo più di coloni olandesi che avevano invaso il Sudafrica a partire dal XVII secolo.
Sebbene l’oppressione degli afrikaaner nei confronti dei neri sudafricani fosse anteriore all’istituzione formale dell’Apartheid, avvenuta nel 1948, l’Apartheid legalizzò e applicò una specifica ideologia razziale che separava i sudafricani in gruppi razziali legalmente distinti.
Questi gruppi erano i bianchi, gli africani, i “colorati” (ciò gli individui multirazziali) e gli indiani.
Il governo dell’Apartheid usò la violenza per imporre la segregazione in questi gruppi e separò con la forza molte famiglie che contenevano persone assegnate a diverse categorie razziali.
La resistenza sudafricana all’Apartheid: gli inizi
I neri sudafricani resistettero all’Apartheid sin dai suoi esordi. All’inizio degli anni Cinquanta l’African National Congress, o ANC, lanciò una campagna di sfida.
Lo scopo di questa campagna era che i neri sudafricani infrangessero le leggi dell’Apartheid, entrando ad esempio nelle aree riservate ai bianchi, usando le strutture bianche e rifiutandosi di portare il “pass”, il passaporto domestico che il governo usava per limitare i movimenti dei neri sudafricani all’interno del loro stesso Paese.
In risposta il governo bandì l’ANC nel 1960 e, nel 1962, arrestò il suo più eminente attivista, Nelson Mandela.
Il bando dell’ANC e l’incarcerazione dei suoi leader più influenti costrinse molti membri dell’ANC all’esilio, ma non fermò la resistenza in Sudafrica.
Molti dissidenti, all’interno del Paese, iniziarono a formare una sorta di alternativa al governo Afrikaaner…un movimento di resistenza chiamato United Democratic Front (UDF).
L’UDF, costituito nel 1983, era una collaborazione di leader ecclesiastici e politici che non erano stati ancora banditi durante quella fase, di leader di comunità, di sindacalisti, eccetera.
L’arcivescovo Desmond Tutu e il reverendo Allan Boesak, due dei principali leader dell’UDF, cominciarono ad organizzare marce davanti al Parlamento, a Città del Capo, a Pretoria e a Johannesburg, con folle che andavano da 50 a 80mila persone, quindi ci fu una vera e propria ondata di resistenza all’Apartheid.
E, in tutto il mondo, questo attivismo catturò l’attenzione di tutti.
L’opposizione di Margaret Thatcher e Ronald Reagan alle sanzioni del Sudafrica viene respinta
Uno dei più grandi momenti di consapevolezza internazionale dell’Apartheid accadde nel 1976, quando migliaia di bambini neri protestarono nella township di Soweto contro una politica del governo che imponeva che tutte le lezioni fossero tenute in afrikaans.
La polizia rispose alle proteste con la violenza, uccidendo almeno 176 persone e ferendone più di 1000. Il massacro attirò ancora di più l’attenzione generale sugli appelli degli attivisti a disinvestire nel Sudafrica, cosa che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite (ONU) aveva chiesto per la prima volta di fare agli Stati membri già nel 1962.
Le campagne per le sanzioni economiche contro il Sudafrica presero piede negli anni Ottanta, ma dovettero affrontare una notevole resistenza da parte di due importanti capi di stato: il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e il primo ministro britannico Margaret Thatcher (aka “La lady di ferro”).
Sia Reagan che la Thatcher condannarono Mandela e l’ANC come comunisti e terroristi in un momento in cui il governo dell’Apartheid si era promosso come alleato della Guerra Fredda contro il comunismo.
Reagan arrivò a porre il suo veto al Comprehensive Anti-Apartheid Act del 1986, ma il Congresso degli Stati Uniti annullò la sua decisione con una maggioranza di due terzi, approvando quindi l’atto che avrebbe sancito l’imposizione di pesanti sanzioni per il Sudafrica.
Anche il Regno Unito, nonostante la ferma opposizione della Thatcher, impose sanzioni al Sudafrica, pur se in misura più limitata.
La combinazione di sanzioni internazionali esercitò una significativa pressione economica sul Sudafrica, che allora era in guerra con le attuali nazioni di Namibia, Zambia e Angola.
Aumenta la pressione internazionale per rilasciare Mandela
L’attivismo anti-Apartheid richiamò anche l’attenzione internazionale su Mandela. I sostenitori internazionali esortarono il Sudafrica a rilasciare lui e gli altri membri dell’ANC imprigionati e a consentire ai membri esiliati di tornare nel Paese.
Già nel 1984 ci furono tentativi da parte dell’Intelligence nazionale presente all’interno delle strutture governative, e anche da parte di alcuni ministri, di entrare in contatto con l’ANC…e di sondare le acque per vedere se ci fosse la possibilità di un accordo negoziato.
La caduta del Muro di Berlino e la liberazione di Nelson Mandela
La caduta del Muro di Berlino, avvenuta nel novembre del 1989, contribuì ad accelerare il processo di fine dell’Apartheid, perché spazzò via una delle principali difese del governo degli Afrikaaner tra gli stati occidentali: che doveva rimanere al suo posto per combattere il comunismo.
La tesi secondo cui i membri dell’ANC erano solo dei “burattini dei rossi” non poteva più essere usata, sia perché la Guerra Fredda stava finendo, sia perché l’ANC ora aveva molto più sostegno negli Stati Uniti e in Europa.
Nelson Mandela, finalmente, venne liberato l’11 febbraio 1990 e, nello stesso anno, iniziarono formalmente i negoziati per porre fine all’Apartheid.
Queste trattative durarono ben quattro anni e si conclusero con l’elezione di Mandela a presidente del Sudafrica.
Nel 1996 il Paese diede vita ad una Commissione per la Verità e per la Riconciliazione nel tentativo di fare i conti con le gravi violazioni dei diritti umani avvenute durante l’Apartheid.
Di Francesca Orelli
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