7 Novembre 2024
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Dopo aver analizzato alcune delle opere più famose che descrivono i mondi impossibili immaginati da Escher, è impossibile non considerare quelli che invece vengono definiti come oggetti impossibili.

La Cascata, realizzata nel 1961, mostra quella che può essere definita come una macchina a moto perpetuo.

Come spesso accade nei suoi lavori, anche in questo caso l’artista olandese sottopone l’osservatore a dei veri e propri paradossi visivi, i quali sottomettono totalmente le leggi che regolano la prospettiva.

Il percorso d’acqua che alimenta la cascata ha una struttura basata su due triangoli di Penrose (un oggetto impossibile ideato da Oscar Reutersvard nel 1934). Il corso scorre su un piano in salita.

Allo stesso tempo, però, il canale sembra avere la sua origine nella cascata che cade dall’alto; questa mette in funzione il mulino, il quale a sua volta sollecita il flusso del ruscello artificiale che gira prima a sinistra, poi a destra e infine nuovamente a sinistra, tornando quindi al punto di partenza.

Il condotto, inoltre, sembra essere sostenuto dalle stesse colonne che reggono la seconda curva e il punto adiacente al mulino. Sopra le torri di supporto sono posizionati due poliedri composti: quello a sinistra è formato da tre cubi, mentre quello sulla destra da tre ottaedri non regolari. Quest’ultimo è anche noto come il solido di Escher.

Sullo sfondo si staglia un paesaggio formato da terreni agricoli terrazzati. In basso a sinistra è possibile notare un giardino con piante simili a quelle marine.

È possibile concettualizzare la cascata come un sistema chiuso: lo stesso Escher specificherà che è necessario aggiungere periodicamente dell’acqua a questa macchina per compensare l’evaporazione.

È un meccanismo che viola la legge di conservazione dell’energia, poiché l’acqua torna alla ruota del mulino in un movimento che può essere definito perpetuo.

Il già citato triangolo di Penrose è stato impiegato anche in un altro lavoro di Escher, intitolato Salita e discesa e stampato per la prima volta nel 1960. Viene raffigurato un edificio con in cima una scala infinita percorsa da due file di monaci: una che sale e una che scende.

È possibile, inoltre, scorgere due figure isolate: una sulle scale di destra e una affacciata al balcone. I frati mostrano un rituale incomprensibile, a differenza dei personaggi che si sono allontanati.

A tal proposito lo stesso Escher spiegherà come “le persone recalcitranti si rifiutano, per il momento, di prendere parte all’esercizio del calpestare le scale. Evidentemente non ne hanno bisogno, ma senza dubbio, prima o poi saranno portati a vedere l’errore della loro non conformità”.

Secondo l’artista, le vite simili a quelle dei monaci si svolgono in ambienti inevitabilmente coercitivi e bizzarri, senza scopi reali o risultati pratici. Proprio per questo i protagonisti della sua litografia si trovano a percorrere lo stesso tragitto, il quale porta inesorabilmente allo stesso punto di partenza.

L’architetto filippino Rafael Nelson Aboganda, affascinato dall’opera di Escher, negli anni ’60 ha realizzato una scala simile presso il Rochester Institute of Technology nello stato di New York.

La struttura è stata in seguito utilizzata come scenografia all’interno della celebre pellicola Inception, diretta nel 2010 da Christopher Nolan.

di Daniele Sasso

1 thought on “Mondi e oggetti impossibili: il paradosso della percezione di Escher (Parte II)

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