Quasiparticella di Majorana: un utilizzo pratico nei computer quantistici

Se Ettore Majorana fosse stato di nazionalità britannica o statunitense probabilmente oggi sarebbe un personaggio ricorrente nella letteratura e nelle opere cinetelevisive a tema fantascientifico, al pari di Nikola Tesla.

Noto presso il grande pubblico per il mistero che circonda la sua improvvisa sparizione, ha lasciato lavori e teorie molto avanzate per l’epoca in cui operò, ancora oggetto di studio e in cerca di conferme.

Secondo la fisica, ogni particella ha una sua antiparticella.
Un anno prima della sua misteriosa scomparsa Majorana aveva teorizzato l’esistenza di una particella che è anche l’antiparticella di sé stessa.
Come ben sanno gli appassionati di Star Trek quando materia e antimateria vengono a contatto si annichiliscono a vicenda con conseguente violento rilascio di energia.


Ma le particelle di Majorana, la cui esistenza era stata provata nel 2014 da ricercatori dell’Università di Princeton, quando appaiono in coppia alle due estremità di un “cavo” costituito di atomi di ferro posati su un materiale superconduttore risultano stabili e interagiscono debolmente con l’ambiente.


L’utilizzo come “contenitori” di informazioni sotto forma di qbit, la versione quantistica dei bit dei computer tradizionali, risulta interessante poiché per modificare lo stato delle particelle così accoppiate è necessario agire contemporaneamente su entrambe le estremità, rendendo l’informazione stabile.

Lo stesso team di Princeton è ora riuscito a porre le quasiparticelle di Majorana in un’ambiente costituito da un semiconduttore (che offre una bassissima resistenza allo scorrimento degli elettroni) e un materiale esotico definito isolante topologico (isolante all’interno e superconduttore solo sui bordi).

Nel punto di contatto fra i due elementi, una sorta di “canale” formato dal bordo sottilissimo, gli elettroni scorrono in modo da formare una specie di filamento come quello di atomi di ferro dell’esperimento precedente; le quasiparticelle che appaiono alle estremità risultano così molto più stabili e protette dal calore e dalle vibrazioni dell’ambiente circostante che potrebbero causarne la distruzione.

La squadra ha inoltre dimostrato la possibilità di “accendere e spegnere” le quasiparticelle grazie a dei magneti inseriti nel dispositivo: esse appaiono oppure no a seconda dell’orientamento delle linee del campo magnetico rispetto al flusso di elettroni.
Un vero e proprio interruttore ON/OFF scoperto quasi per caso.
(Foto: Yazdani Lab, Princeton University)

I computer quantistici, attualmente a un livello primitivo, in prospettiva saranno in grado di risolvere problemi impossibili per i più veloci computer tradizionali, con ciò che ne consegue in ogni attività umana. Ogni passo avanti nel loro sviluppo è quindi di estrema importanza.

Di Corrado Festa Bianchet

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