I frammenti di suolo marziano in viaggio nello spazio potrebbero essere più numerosi di quanto credessimo

I frammenti di meteoriti individuati e recuperati sulla Terra si contano a migliaia e una piccola parte di essi, per la precisione 188, è stata identificata come proveniente da Marte: si tratta di veri e propri pezzi del Pianeta Rosso giunti fino a noi.

Durante i suoi oltre quattro miliardi di anni di vita, Marte proprio come la Terra è stato innumerevoli volte colpito da meteoriti e asteroidi, alcuni dei quali grandi abbastanza da permettere a parte del materiale divelto di essere scagliato fuori dell’orbita del pianeta, iniziando un viaggio nello spazio.

Si riteneva che si trattasse di un fenomeno di notevole rarità, causato solo da impatti particolarmente potenti e devastanti, ma una nuova ricerca suggerisce sia necessaria una pressione considerevolmente inferiore a quanto finora ritenuto perché il fenomeno si verifichi, con la conseguenza che i frammenti di Marte scagliati verso altri pianeti come il nostro siano più numerosi di quanto credessimo.

Uno studio sotto pressione

“Non siamo su Marte, quindi non possiamo guardare di persona l’impatto di un meteorite, ma possiamo ricreare un tipo simile di impatto in un ambiente di laboratorio. In questo modo, abbiamo scoperto che ci vuole molta meno pressione per lanciare un meteorite su Marte di quanto pensassimo” spiega Yang Liu, planetologo presso il Jet Propulsion Laboratory (JPL) e coautore dello studio.

Lo studio è stato effettuato da ricercatori del California Institute of Technology (Caltech) che con una sorta di cannone progettato appositamente per simulare un impatto sul suolo marziano, qui rappresentato da rocce terrestri contenenti plagioclasio, simili a quelle marziane.

In seguito a una forte pressione come quella da impatto meteorico, il plagioclasio muta in maskelynite, un materiale vetroso che infatti si ritrova nelle meteoriti stesse e nei crateri da esse generati; analizzandolo è possibile per i ricercatori determinare a quanta pressione sia stata sottoposta la roccia che lo contiene.

Geologicamente Marte e la Terra sono molto simili

Esperimenti precedenti avevano dimostrato che il plagioclasio si trasforma in maskelynite a una pressione d’urto di 30 gigapascal (GPa), 300.000 volte la pressione atmosferica sul livello del mare, o mille volte la pressione tre chilometri sott’acqua, profondità a cui viaggia un sottomarino.

Il nuovo cannone migliorato e affinato rispetto ai suoi predecessori ha nel nuovo studio dimostrato che la transizione avviene a circa 20 GPa, una differenza significativa rispetto a quanto risultava dalle simulazioni effettuate grazie alle versioni precedenti del dispositivo.

“Si è rivelata una sfida significativa ottenere il modello di un impatto in grado di lanciare rocce intatte da Marte mentre le sottoponeva a shock a 30 GPa. In questo contesto, la differenza tra 30 GPa e 20 GPa è significativa. Quanto più accuratamente possiamo caratterizzare le pressioni d’urto sperimentate da un meteorite, tanto più è probabile che possiamo identificare il cratere da impatto su Marte da cui ha avuto origine” commenta il professor Paul Asimow del Caltech.

Il meteorite Black Beauty
Il meteorite Black Beauty (NWA 7034) rinvenuto nel Sahara del Marocco (immagine NASA)

Come sapere se un meteorite è un pezzo del suolo di Marte

I frammenti possono essere ricondotti al Pianeta Rosso analizzando il loro contenuto, sacche di gas intrappolate al loro interno che corrispondono ai dati acquisiti grazie alle missioni su Marte a partire dall’esperimento condotto dalle due sonde Viking della NASA che nel 1976 misurarono le proporzioni di diversi gas nella rarefatta atmosfera marziana, gas già nel 1983 identificati all’interno delle sacche di vetro da shock nella meteorite Elephant Moraine 79001.

La nuova ricerca espande ulteriormente questo genere di studi sulle orme di un documento pubblicato nel 2022 che identificava un cratere da impatto nella regione marziana denominata Terra Cimmeria – Sirenum l’origini del meteorite NWA 7034, conosciuto col nomignolo Black Beauty, rinvenuto nel Sahara marocchino, a sua volta già balzato agli onori delle cronache scientifiche due anni prima poiché con la sua composizione suggerirebbe la presenza di acqua su Marte già oltre quattro miliardi di anni fa.

La ricerca Shock-recovered maskelynite indicates low-pressure ejection of shergottites from Mars è stata pubblicata su Science Advances.

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