Storia

Opechancanough, il capo indiano che fece fuori i colonialisti spagnoli…e quasi riuscì a cacciare gli inglesi

Rapito e portato in Spagna, Opechancanough, diventato poi capo della sua tribù, usò quello che aveva imparato dagli Europei contro due delle più grandi potenze del mondo di allora.

Nell’estate del 1561, gli esploratori spagnoli rapirono un giovane indiano, appartenente alla tribù dei Powhatan, dalla regione delle acque di marea della baia di Chesapeake e lo portarono alla corte reale di Spagna.

Il rapimento, però, innescò una catena di eventi che avrebbe alterato il corso della storia coloniale americana.

Di per sé non si trattava di un evento insolito, dato che gli spagnoli spesso addestravano i giovani nativi americani in modo da trasformarli in interpreti o, peggio ancora, in spie che inviavano tra le popolazioni locali per scoprire dove si trovassero l’oro e l’argento.

Opechancanough, il “diverso”

Paquiquineo però, come sarebbe stato battezzato dai funzionari spagnoli nello stesso anno, con il tempo sarebbe rinato come Opechancanough, il più formidabile capo indiano incontrato dagli Europei nel XVI e all’inizio del XVII secolo in Virginia.

Dopo essere tornato in patria, contribuì a costruire il più grande dominio lungo l’Atlantico centrale e trascorse il resto della sua vita a difendere i suoi popoli dagli invasori europei, dei quali aveva studiato a distanza ravvicinata la mentalità e le strategie.

Brillante stratega e leader carismatico, contrastò con successo gli sforzi degli spagnoli per stabilire un insediamento a Chesapeake. E cinquant’anni dopo, con il suo attacco coordinato del 1622 alla colonia di Jamestown, mise in seria crisi le ambizioni inglesi per la regione.

Ciononostante, anche se è anche uno dei più grandi leader militari della prima America, i suoi successi rimangono quasi del tutto sconosciuti.

Il principe indiano e i gesuiti

Paquiquineo/Don Luis (poi più tardi Opechancanough), già noto agli spagnoli per essere il fratello di Powhatan, capo principale di una confederazione di tribù di lingua algonchina, fu trasportato attraverso l’Atlantico alla corte del re Filippo II, a Madrid.

Uomo profondamente religioso, Filippo supervisionava un immenso impero, formato da territori recentemente conquistati nelle Indie Occidentali e nell’America Centrale e Meridionale, i cui popoli indigeni considerava come pagani.

Il re vedeva come suo sacro dovere convertirli al Cattolicesimo e credeva che Paquiquineo, intelligente e nobile, potesse aiutarlo a raggiungere quell’obiettivo.

In particolare, pensava che il principe indiano avrebbe potuto svolgere un ruolo vitale nella creazione di una missione santa che avrebbe convertito tutti i popoli indiani e facilitato l’insediamento spagnolo oltre la Florida, il primo grande territorio europeo rivendicato in Nord America.

Gli spagnoli battezzarono ed educarono Paquiquineo, onorandolo con il nome principesco spagnolo di Don Luis de Velasco, dal viceré della Nuova Spagna.

Nel 1570, nove anni frustranti dopo il suo rapimento, Paquiquineo/Don Luis tornò in patria come parte di una piccola missione gesuita a Chesapeake, intesa come preludio alla colonizzazione spagnola.

Avendo una fede incrollabile nella pietà di Don Luis e spinti dal desiderio genuino di convertire il suo popolo al Cristianesimo, i missionari si lasciarono condurre da lui nel profondo entroterra senza essere accompagnati da una scorta armata.

A sei mesi dallo sbarco, però, Don Luis scoprì le sue vere intenzioni e guidò un gruppo di indiani contro di loro. I guerrieri uccisero tutti gli otto gesuiti, risparmiando solo un giovane servitore.

Il futuro Opechancanough distrusse completamente la missione e, con essa, la speranza degli spagnoli di poter creare futuri insediamenti nella baia di Chesapeake.

I motivi del tradimento di Don Luis non sono difficili da capire. Durante gli anni trascorsi a fianco degli spagnoli, aveva visto in prima persona come la loro brama di conquista e il desiderio di convertire tutte le popolazioni indigene al Cattolicesimo, avesse distrutto il modo di vivere le credenze degli indiani.

Sapeva anche che, se avesse risparmiato i gesuiti, altri soldati e coloni sarebbero seguiti a loro, prendendo la terra e distruggendo il suo popolo.

Le prime guerre indiane della Virginia

Essendo uno dei pochissimi nativi americani che avevano attraversato l’Atlantico e che erano poi tornati, Don Luis capiva, meglio dei suoi coetanei, la grave e incombente minaccia rappresentata sia dalla Spagna, sia dagli altri Europei.

La sua consapevolezza giocò probabilmente un ruolo importante nell’incoraggiamento di suo fratello, il capo Powhatan, a iniziare a costruire un imponente dominio che comprendesse più di trenta gruppi tribali, che sarebbero quindi stati in grado di organizzare una difesa efficace contro i potenti invasori dell’Europa.

Dalla metà degli anni Settanta del Cinquecento all’inizio del XVII secolo, le terre di Powhatan si espansero rapidamento attraverso la costa della Virginia. Quando arrivarono i colonizzatori inglese, il suo regno andava dal fiume James fino alle rive del fiume Potomac.

Nel maggio del 1607, 104 inglesi si accamparono sulle rive del fiume James, su una terra che chiamarono Jamestown, ma che in realtà apparteneva al popolo dei Paspahegh.

All’inizio i rapporti tra i coloni e i popoli indiani che vivevano lungo il fiume furono cordiali, anche se a volte incerti, ma con l’arrivo di più coloni, inclusi donne e bambini, le relazioni si deteriorano, portando infine a un’ostilità su vasta scala.

La prima guerra inglese-powhatan si svolge lungo la James River Valley tra l’inverno del 1609 e la primavera del 1614, momento in cui gli inglesi avevano stabilito insediamenti lungo tutto il fiume.

Di fatto battuto, Powhatan fu subito sostituito dal suo capo di guerra, che gli inglesi chiamavano Opechancanough, ma che gli indiani conoscevano come Paquiquineo e gli spagnoli come Don Luis.

Il massiccio attacco del 1622 a Jamestown

Opechancanough, applicando le lezioni apprese nei suoi incontri con gli spagnoli, adottò una strategia molto diversa da quella di suo fratello, che evitava battaglie in campo aperto con i soldati inglesi ben armati.

Invece, rassicurò gli inglesi delle sue buone intenzioni e mostrò la probabilità che il suo popolo si convertisse al Protestantesimo. Adottando questo approccio, ingannò con successo la leadership della colonia e la maggior parte dei coloni, permettendogli di stringere alleanze e di radunare uomini per lanciare uno degli attacchi indiani più devastanti contro gli Europei nella storia americana.

Nella prima luce di una fredda mattina di marzo del 1622, gruppi di powhatan si radunarono nei campi e nei boschi vicino agli insediamenti inglesi e aspettarono pazientemente il segnale.

Quando arrivò, iniziarono a camminare verso le case dei coloni, apparentemente senza fretta. Dal momento che molti di loro commerciavano con le famiglie inglesi da anni, passando di lì quando avevano qualcosa da barattare, condividere o prendere in prestito, nulla sembrava fuori dall’ordinario.

Una volta all’interno degli insediamenti, tuttavia, verso le otto del mattino, i guerrieri di Opechancanough si scagliarono con violenza sugli inglesi, “non risparmiando né età né sesso, uomo, donna o bambino” scrisse Edward Waterhouse, un contemporaneo.

Dopo gli attacchi iniziali, sempre più guerrieri, da cinquanta a poche centinaia, si unirono ai combattimenti per finire i sopravvissuti, bruciare gli insediamenti e massacrare il bestiame.

Una vista a volo d’uccello avrebbe rivelato caos e distruzione lungo tutto il fiume James: resti di fiamme che bruciavano le case dei coloni, fabbricati agricoli, moli e barche; dense colonne di fumo che si alzavano dalle piantagioni in fiamme e dal bestiame macellato.

Mettendo più a fuoco la scena, si sarebbero visti uomini alle prese, l’un l’altro, in un disperato combattimento corpo a corpo, gli indiani che si lanciavano sugli inglesi, uccidendoli nelle loro case, nei cortili e nei campi.

Le urla dei moribondi e dei feriti sarebbero state chiaramente udibili lungo tutto il fiume, insieme alle grida dei guerrieri, agli avvertimenti dei coloni, agli schiocchi dei moschetti e agli scontri dell’acciaio.

L’attacco fu così improvviso che pochi coloni intravidero l’arma che li avrebbe uccisi. In quel giorno fatale circa 350 uomini, donne e bambini inglesi, da un quarto a un terzo della colonia, morirono bastonati, accoltellati o uccisi a colpi di arma da fuoco con le loro stesse munizioni.

Opechancanough, ovviamente, non si aspettava che un solo giorno d’attacco, anche se ben eseguito, sarebbe riuscito a espellere immediatamente gli inglesi dalle sue terre.

Nei mesi successivi, mentre i coloni si stavano ancora riprendendo dalla carneficina, i guerrieri indiani continuarono a razziare e a saccheggiare gli insediamenti. In una scena di totale desolazione, il senso di terrore era palpabile.

Dio mi perdoni” scrisse William Capps, un affermato coltivatore di tabacco. “Penso che l’ultimo massacro abbia ucciso il nostro Paese e, oltre a loro, hanno ucciso e spezzato il cuore a tutto il resto.”

I coloni iniziarono ad abbandonare le loro fattorie, cercando rifugio in piantagioni più protette, che si trovavano nelle vicinanze.

Senza saperlo, avevano anticipato l’ordine generale di fine aprile del governatore Sir Francis Wyatt di evacuare tutti gli insediamenti periferici e di trasferirsi in otto località ben fortificate lungo il fiume James.

I leader locali arrivarono persino a considerare il trasporto dei coloni inglesi sulla sponda orientale, dove gli indiani erano rimasti in buoni rapporti con i “visi pallidi” per ridurre ulteriori perdite.

Gli inglesi continuano ad arrivare

Nel frattempo Opechancanough continuò a pianificare alleanze. Nell’estate del 1622 inviò messaggeri con doni al capo dei Patawomeck, un popolo indiano potente che viveva sul fiume Potomac, esortandolo a unirsi alla guerra contro i coloni e vantandosi che:

Prima della fine delle due Lune, non ci sarà più un solo inglese nei nostri Paesi.”

Con la distruzione delle piantagioni, dei siti industriali e delle scorte di cibo, il capo indiano credeva che avrebbe potuto indebolire e demoralizzare così tanto gli inglesi che, alla fine, sarebbero caduti vittime dei suoi guerrieri o sarebbero stati costretti a fuggire dalla colonia.

Tuttavia, alla fine, la strategia del grande capo fallì. Gli inglesi continuarono ad arrivare, nonostante le loro terribili perdite dovute a guerre, carestie e malattie.

Opechancanough, semplicemente, non aveva guerrieri a sufficienza per contrastare ondate su ondate di nuovi arrivi dall’altra parte dell’Atlantico.

Nel giro di pochi anni gli inglesi si erano ripresi da quello che avevano battezzato “il massacro barbaro” e iniziarono a costruire insediamenti in tutta la regione, respingendo i popoli indiani mentre si spostavano inesorabilmente a nord e a ovest.

Spinto dall’amarezza e dalla disperazione, Opechancanough riuscì a ispirare un’altra generazione di guerrieri a insorgere contro gli inglesi a metà del 1640, uccidendo 500 coloni prima di essere catturato e portato a Jamestown.

Lì, a quasi 100 anni, venne colpito alla schiena da una delle sue guardie e morì.

Rispetto ai capi guerrieri del XVIII e del XIX secolo – Pontiac, Tecumseh e Toro Seduto – gli studiosi hanno prestato poca attenzione alle guerre Powhatan dell’inizio del XVII secolo e al ruolo fondamentale avuto da Opechancanough in esse.

Eppure fu lui, nelle vesti del “pio” e “convertito” Don Luis, a limitare l’espansione dell’insediamento spagnolo lungo la costa orientale del Nord America e sempre lui a organizzare la resistenza contro gli insediamenti inglesi, in Virginia, per quasi mezzo secolo.

La sua vita straordinaria, passata a combattere due delle più grandi potenze europee del passato, lo conferma come uno dei più grandi leader militari della storia.

Di Francesca Orelli

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