Perché si dice “Fare un massacro”?

Fare un massacro” (o “fare un macello”) è un’espressione, entrata anche nella nostra lingua italiana, per indicare una carneficina e, in senso figurato (e più ironico), l’intenzione di fare la voce grossa, soprattutto se si è subita un’ingiustizia. Già, ma come è nata e perché si dice? L’origine è da ricercare in un episodio molto cruento, avvenuto nel 1623 ad Amboyna, un’isola dell’arcipelago indonesiano.

Ti sei mai chiesto perché, quando si arrabbiano oppure hanno subito ingiustizie o torti, le persone dicano “Adesso faccio un massacro” o, ancora, “adesso combino un macello”?

I massacri, come ad esempio quelli delle Foibe, potrebbero sembrare antichi come il tempo, ma l’espressione stessa “Fare un massacro” non lo è.

Il termine “massacro” si fece strada, nella lingua inglese, soltanto alla fine del XVI secolo e, alla fine, arrivò a significare un tipo specifico di morte, caratterizzato da crudeltà, intimidazione e tradimento, in tutti i Paesi Europei (e nel mondo).

Come è successo, per esempio, ad Amboyna, un’isola dell’arcipelago indonesiano, nel 1623. Un episodio così efferato che, guarda caso, diede proprio origine all’espressione “Fare un massacro”.

Massacro di Amboyna: la tragedia (spesso) dimenticata dalla storia

Il fatto, che diventò noto più tardi come il Massacro di Amboyna, ebbe origine da una cospirazione, scatenata dalle tensioni tra le compagnie olandesi e le compagnie inglesi delle Indie orientali.

Amboyna, a quel tempo, era la principale fonte mondiale di chiodi di garofano in un’epoca in cui gli europei consideravano la spezia non solo come un’aggiunta prestigiosa e gustosa alle pietanze, ma anche un potente medicinale, capace, tra le altre cose, di curare il mal di testa, i problemi di vista e di migliorare le prestazioni sessuali.

Dopo anni di conflitto aperto per l’accesso alle spezie nell’Oceano Indiano, i diplomatici europei costrinsero le due compagnie a deporre le armi e a stipulare un accordo nel 1619.

L’accordo, neanche a dirlo, obbligò olandesi e inglesi, che fino a quel momento si erano azzannati alla gola l’un con l’altro, ad intrecciare una goffa partnership.

Peggio ancora, i commercianti inglesi, secondo questo accordo, erano considerati soci minori, sottomessi in tutto e per tutto agli olandesi, una posizione che bruciava parecchio agli inglesi e che mal si accordava con il loro senso di sé stessi come popolo che aveva contribuito a garantire l’indipendenza dalle Province Unite del dominio asburgico.

A lungo sospettose dei commercianti inglesi, le autorità olandesi su Amboyna giunsero a credere che i loro rivali stessero cospirando contro di loro con i soldati giapponesi, che allora lavoravano per gli olandesi, e con l’uomo indo-portoghese che era a capo degli schiabi della compagnia olandese.

Dopo un procedimento legale, caratterizzato dalla tortura tipica della giurisprudenza olandese dell’epoca – in cui gli inquisitori bruciavano le carni degli uomini e li affogavano nell’acqua – i soldati giapponesi, e poi i commercianti inglesi, seguiti dal sorvegliante degli schiavi, confessarono di aver organizzato un complotto per subentrare nella stazione commerciale e uccidere tutti gli olandesi.

Venti (o ventuno) uomini persero la testa a causa di un boia giapponese, inclusi i dieci mercanti inglesi, mentre altri otto inglesi furono assolti, graziati o temporaneamente rimproverati prima di cominciare il lungo viaggio che li avrebbe riportati a casa.

I commercianti inglesi, quando appresero la notizia a Batavia (sito dove ora si trova la moderna Jakarta), rimasero così scioccati da definire il fatto “un massacro” e da considerare i giudici olandesi come “macellai” e “cannibali”.

La Compagnia Inglese delle Indie Orientali fu pronta ad abbracciare questo termine a Londra nel maggio del 1624, e proprio quando Giacomo I si stava preparando a firmare un trattato con gli olandesi.

Fare un massacro”: come diventò popolare nella lingua comune

“Fare un massacro” era un’espressione piuttosto nuova nella lingua inglese del 1620.

La parola “massacro” raggiunse l’Inghilterra, e diventò comune, sulla scia delle guerre di religione francesi, quando una parola francese, che inizialmente veniva usava per indicare il ceppo del macellaio usato per uccidere gli animali, arrivò a significare il crudele assassinio di più persone.

L’episodio di Amboyna avvenne in un momento formativo per gli inglesi (e, di conseguenza, per la loro lingua) nella loro comprensione emergente di ciò che comportavano i massacri.

Atti di violenza con caratteristiche speciali, in particolare intimidazione, ingratitudine e tradimento. La Compagnia Inglese delle Indie Orientali forgiò queste associazioni, inventando inavvertitamente il primo massacro inglese nelle pubblicazioni sulle esecuzioni dei loro dipendenti.

La Compagnia produsse anche un opuscolo, The True Relation of the Unjust, Cruell, and Barbarous Proceedings against the English (1624), con due potenti xilografie che mostravano mercanti inglesi torturati con fuoco e acqua dai giudici olandesi.

L’opuscolo venne pubblicato dodici volte, ottenendo un successo discreto, tra il 1624 e il 1781, e rielaborato anche per i nuovi conflitti interni e internazionali.

Le xilografie vennero riproposte, in una forma appena modificata, fino al 1891. I testi e le immagini erano anche riprodotti frequentemente nelle raccolte di racconti di viaggio.

La storia persisteva come un racconto del martirio inglese e della crudeltà e del tradimento olandese – nonché come massacro – anche dopo la fine del XVII secolo, quando la parola era già diventata un sinonimo regolare di massacro di massa.

Il fatto di Amboyna non fu l’unico a cui gli inglesi applicarono la parola “massacro” come sinonimo di morte crudele: anche il Gunpowder plot del 1605 venne descritto come un massacro evitato.

La parola fu anche usata per descrivere sia il crudele assassinio di un bambino, avvenuto nel 1606, sia la morte, nel 1622, di un terzo degli abitanti della Virginia per mano degli occupanti indigeni.

Nel XVIII secolo però questi episodi erano già stati dimenticati, o non avevano più un’importanza storica così rilevante, quindi Amboyna venne considerato, a furor di popolo, come il primo massacro inglese.

Gli eventi di Amboyna avevano creato una sceneggiatura con vittime innocenti e crudeltà, caratteristiche che troviamo anche nella definizione moderna del termine “massacro”.

Le opere storiche del XVIII elencavano tre massacri del XVII secolo in successione e mostravano anche come questi significati si consolidarono: prima Amboyna nel 1623, poi Irlanda nel 1641 e, infine, Glencoe nel 1692.

Tutti, nessuno escluso, mostravano che i massacri non erano avvenuti tra sconosciuti, ma tra persone che si conoscevano molto bene, le cui relazioni definirono non solo la violenza che ne seguì, ma il cui tradimento rese l’omicidio “un massacro” e un simbolo duraturo del tradimento e della crudeltà.

Anche oggi, sebbene la maggior parte delle persone non abbia mai sentito parlare del Massacro di Amboyna, la sua eredità persiste ogni volta che cerchiamo un modo per descrivere una morte o un omicidio, che consideriamo particolarmente crudele e traditore e facilitato, nella maggior parte dei casi, anche dalla vicinanza tra carnefici e vittima.

Quando, per esempio, un ragazzo entra nella sua scuola e uccide i suoi compagni di classe e gli insegnanti, quando un residente piazza una bomba nelle sale da concerti o lungo i percorsi di jogging e aspetta di vedere la sofferenza del suo prossimo quando esplode.

E anche quando indietreggiamo, nel dolore e nella rabbia condivisi durante l’attuale crisi sanitaria provocata dal Covid-19, per quello che gli italiani hanno definito il “massacro silenzioso” tra i parenti anziani, le cui cure erano affidate alle case anziani.

I commercianti inglesi di Amboyna potrebbero anche aver perso la testa ma, con il loro sacrificio, ispirarono agli inglesi, e più tardi al mondo intero, un nuovo modo di pensare, e di dire, riferito a particolari tipi di morte crudele.

Di Francesca Orelli

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