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Una combinazione di tecnologie incrementa l’efficienza delle celle fotovoltaiche

Nello sviluppo delle tecnologie per ricavare energia elettrica in modo diretto dalla radiazione solare i progressi più importanti sono stati negli ultimi anni l’affinamento delle tecnologie basate sul silicio per la creazione di celle fotovoltaiche da una parte e l’introduzione di un altro materiale, la perovskite, dall’altra.

Due tecniche complementari

Questi due materiali vantano ciascuno pro e contro: i pannelli fotovoltaici in silicio sono stabili, sempre più economici ed efficienti, ma in particolare riguardo quest’ultima caratteristica vi è un limite che ormai pare prossimo.

La perovskite vanta da par suo la peculiare qualità di poter essere diluita in altre sostanze per dar vita a una sorta d’inchiostro che permette la creazione di generatori di energia elettrica stampati su una grande quantità di materiali o persino, come si sta effettivamente sperimentando, usati come tinta per le pareti esterne di un edificio.

Un tandem tecnologico

I tentativi di combinare le due tecniche per amplificare l’efficienza dei pannelli fotovoltaici si è scontrato con alcuni problemi, come la superficie delle celle di silicio che formano una distesa di monti e valli, delle strutture coniche dell’ordine dei due micron di altezza che conferiscono al dispositivo la capacità di meglio assorbire la luce del sole riducendone la dispersione: una struttura piatta ne aumenterebbe la quantità riflessa via e quindi sprecata.

Ciò rende tuttavia difficoltoso applicare uno strato di perovskite superficiale, questa l’idea di base, sul silicio per sfruttare le qualità di entrambi i materiali contemporaneamente; i processi di produzione industriale delle celle di silicio non sono tuttavia pensati per produrre superfici lisce, quindi sebbene dopo la lisciatura del pannello di silicio l’applicazione di uno strato di perovskite abbia effettivamente fornito buoni risultati, il procedimento risulta in questo modo tutt’altro che economico.

L’approccio tentato dai ricercatori è apparentemente semplice: uno strato di perovskite di maggior spessore, tanto da poter coprire le valli come i picchi dei monti.

Una maggiore efficienza

La scoperta è che la perovskite nelle “valli” crea un campo elettrico in grado di separare gli elettroni generati dalla perovskite stessa da quelli del silicio sottostante. Questa separazione fra la due cariche elettriche è importante poiché incrementa la possibilità che il flusso di corrente elettrica si indirizzi nel circuito, come desiderato, piuttosto che disperdersi in altre parti della struttura.

Il team ha amplificato questo isolamento tramite un sottile strato di 1-butanetiolo, un comune prodotto chimico industriale. Il risultato è un’efficienza del pannello fotovoltaico pari, grazie alle due tecniche combinate, al 25,7%, una delle percentuali più alte mai ottenute per questa tipologia di struttura, certificata da un laboratorio indipendente, l’Istituto Fraunhofer per l’Energia Solare di Friburgo, Germania.

Il dispositivo risulta anche stabile, non avendo fatto registrare alcun calo significativo nelle prestazioni dopo 400 ore alla temperatura di 85° Celsius. Il team è al lavoro per protrarre questa stabilità a 1000 ore, lo standard in questo campo industriale, e altre ottimizzazioni che incrementeranno ulteriormente le capacità delle celle in silicio-perovskite senza necessità da parte dell’industria di modificare i processi di produzione, puntando quindi nel contempo a un’ulteriore riduzione dei costi e del prezzo di vendita finale.

La ricerca, frutto del lavoro delle Università di Ingegneria di Toronto (Canada) e della King Abdullah University of Science and Technology (KAUST, Arabia Saudita), è stata pubblicata su Science.

Di Corrado Festa Bianchet

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