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Ricercatori realizzano minifegati pienamente funzionali grazie alla stampa 3D

Biostampa 3D è un’espressione che diventerà sempre più familiare nel prossimo futuro, considerando le potenzialità rivoluzionarie insite in campo medico. Un perfetto esempio è il risultato conseguito dai ricercatori dello Human Genome and Stem Cell Research Center (HUG-CELL) di San Paolo, Brasile: unendo le potenzialità delle cellule pluripotenti a una versione affinata della stampa 3D si sono ottenuti risultati incoraggianti verso la possibilità di creare in laboratorio organi adatti al trapianto senza rischi di rigetto.
Cellule “normali” (in questo caso, sanguigne) sono prelevate da un donatore adulto e “resettate” in modo da riportarle allo stadio staminale e poterle così riprogrammare in modo che si specializzino nel compito desiderato (la creazione di questa tecnica valse nel 2012 il premio Nobel al dottor Shinya Yamanaka); la biostampa 3D invece si basa sull’utilizzo di bioinchiostro, una sostanza costituita da cellule viventi usate per creare un ambiente in grado di supportare l’adesione e la proliferazione di cellule per dare vita a tessuti complessi.
Era quindi già possibile costruire la struttura base del fegato tramite cellule pluripotenti indotte alle funzioni epatiche, ma c’era un limite: nel bioinchiostro le cellule pian piano finiscono col perdere contatto l’una con l’altra facendo perdere al tessuto le proprie funzionalità.
L’innovazione introdotta dai ricercatori brasiliani consiste nel formare dei microagglomerati di forma sferoidale (una sorta di grumi) costituiti da cellule pluripotenti adattate alle funzioni epatiche, quindi già a contatto diretto fra di loro, e usarle in questa maniera all’interno del bioinchiostro per la creazione della struttura complessa necessaria a svolgere le funzioni del fegato.
L’ambiente più favorevole fa sì che durante la maturazione le capacità epatiche siano preservate molto meglio rispetto all’uso di singole cellule: il risultato di questi test di laboratorio sono minifegati perfettamente in grado di ripulire il sangue dalle tossine e produrre albumina, una componente fondamentale del plasma sanguigno.
I ricercatori contano di poter ottenere un fegato funzionale in 90 giorni facendo uso di cellule riprogrammate prelevate dal paziente stesso, evitando i problemi di compatibilità e rigetto sussistenti in caso di donatore esterno e confidano i risultati positivi di questa tecnica scalabile siano forieri di grandi sviluppi nella possibilità di creare organi completi anche più complessi del fegato, nel prossimo futuro.

Di Corrado Festa Bianchet

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