Cherofobia: la paura di essere felici

Esistono tante definizioni per arrivare a descrivere le cause e le sensazioni provate da un individuo con disturbi d’ansia. Ma le sfaccettature di queste patologie sono molteplici, e sono diversi i punti da cui si può partire per esaminarle.

Il concetto di cherofobia non va confuso con quelli di anedonia (impossibilità di provare piacere) e di abulia (mancanza di volontà), i quali hanno un significato evidentemente diverso e sono maggiormente riscontrabili in un soggetto affetto da depressione piuttosto che da uno con disturbo d’ansia.

La cherofobia viene definita invece come la propensione all’avversione per la felicità.

L’errore più comune è quello di considerare il fenomeno come la scelta di non essere felici per paura che poi la felicità svanisca. L’esempio tipico è quello di chi non dichiara il proprio amore alla persona di cui si è invaghito per la possibilità di venire rifiutato. La cherofobia però è qualcosa di diverso.

Non parliamo della paura di perdere la felicità, ma del terrore nei confronti della felicità stessa, che rappresenta l’oggetto della fobia. Nella maggior parte dei casi l’evitamento deliberato della felicità dipende dal pensiero distorto secondo il quale chi è felice prima o poi verrà punito.

Chi è affetto da cherofobia è, inoltre, particolarmente predisposto alla scarsa autostima. Questi individui spesso cercano di raggiungere un equilibrio attraverso la convinzione che la felicità non esista, e che quindi nessuno è davvero felice.

I cherofobici vedono l’essere felici come qualcosa di sgradevole, e tendono a nascondere quei momenti in cui potrebbero esprimere la loro gioia. A differenza delle culture occidentali, che ricercano la massimizzazione della propria felicità, quelle orientali tenderebbero a elicitare maggiormente questo genere di atteggiamento.

Tendenzialmente, le ragioni per le quali si tende ad evitare la felicità  possono essere quattro:

  • Credere che essere felici provocherà eventi negativi;
  • Credere che la felicità renda cattive le persone;
  • Credere che esprimere felicità sia un male per la persona in sé e per gli altri;
  • Credere che perseguire la felicità sia un male per sé stessi e per gli altri.

Sicuramente la vita infantile del soggetto ha un peso non indifferente sulla possibilità di sviluppare atteggiamenti cherofobici. Un rapporto con i genitori basato eccessivamente su premi e punizioni può sicuramente instaurare un pattern deviato che persiste nel resto dell’esistenza.

Sono anche i sensi di colpa irrazionali, in un certo senso, a determinare la scelta di non voler essere felici. Se si crede che la propria felicità possa condurre alla sofferenza di altre persone (anche quando questo non corrisponde alla realtà) si può andare incontro al fenomeno cherofobico più o meno consapevolmente.

Anche se una persona affetta da cherofobia difficilmente cercherà di privarsi del suo stato, la soluzione più pratica è quella di un aproccio terapeutico. Parlare con uno specialista potrebbe infatti, attraverso il raggiungimento di una maggiore consapevolezza, far crollare questa barriera che “protegge” dal mondo esterno, permettendo all’individuo di affrontare e rivedere il proprio punto di vista.

di Daniele Sasso

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