La dissonanza cognitiva: scegliere la coerenza piuttosto che le proprie convinzioni

Tutti abbiamo quell’amico che vuole avere sempre ragione e che preferirebbe tagliarsi un braccio piuttosto che ammettere di aver cambiato idea su qualcosa. Spesso la volontà di essere coerenti trae in inganno le persone, le quali preferiscono pararsi dietro ad arzigogolati ragionamenti piuttosto che ammettere il proprio cambio di rotta.

La teoria della dissonanza cognitiva fu sviluppata da Leon Festinger nel 1957, a seguito di alcune osservazioni inerenti proprio al fatto che le persone sperimentano uno stato di disagio nel momento in cui il proprio comportamento non è più coerente con gli atteggiamenti e con le proprie convinzioni.

Essenzialmente, viviamo nel continuo tentativo di mettere ordine alla nostra vita, sviluppando delle abitudini e delle convinzioni che ci consentano di trovare dei veri e propri punti di riferimento nel corso delle giornate.

Lo stesso discorso può essere fatto per i nostri atteggiamenti nei confronti di oggetti, persone e situazioni. Nel momento in cui, però, la realtà ci presenta il conto, potremmo scoprire che ciò in cui credevamo non corrisponde a quello che vediamo.

Quando le nostre certezze vengono meno, è possibile che la mancanza di coerenza interiore determini quella che viene definita, appunto, dissonanza cognitiva. A questo punto, siamo costretti a fare una scelta. Per superare la dissonanza e rimanere coerenti, siamo disposti anche a “credere” di aver sempre avuto un punto di vista diverso: un’opinione che calza con la situazione da affrontare attualmente, eliminando il contrasto.

L’esperimento tenuto da Festinger e Carlsmith prevedeva che un gruppo di studenti partecipassero per circa un’ora ad una serie di prove rese per l’occasione estremamente noiose. Quando il singolo soggetto terminava la prova, però, uno sperimentatore comunicava come il resto dei partecipanti avesse trovato interessanti tali attività.

A questo punto ad ogni studente veniva chiesto di convincere il partecipante successivo che l’esperimento sarebbe stato interessante e divertente. Tale richiesta veniva foraggiata in alcuni casi con una ricompensa di 20 dollari, e in altri casi con un solo dollaro.

Alla fine di questa ultima fase, gli studenti venivano quindi intervistati: chi aveva ricevuto i 20 dollari ribadiva come il compito in realtà fosse noioso, ma che per la cifra ricevuta fosse accettabile mentire; chi aveva ricevuto un dollaro solo, invece, affermava con convinzione che in fin dei conti i compiti fossero divertenti.

I risultati ottenuti da Festinger erano evidenti. Chi aveva ricevuto un solo dollaro per mentire (e dichiarare che il compito fosse divertente) era andato incontro ad una dissonanza cognitiva. Aveva dovuto mentire, ma per una somma praticamente nulla che non giustificava la bugia.

Nel tentativo di superare la dissonanza, quegli studenti avevano quindi cambiato quello che era il loro atteggiamento nei confronti dei compiti. Pur di ritrovare una certa coerenza interna, e di non sentire il peso della situazione incongrua, avevano preferito convincersi che le attività svolte fossero effettivamente divertente.

Anche nella quotidianità, le persone scelgono molto spesso di “ristrutturare” i propri atteggiamenti per superare l’incongruenza, spesso arrivando a dichiarare che l’uva è acerba solo perché non sono in grado di afferrarla.

di Daniele Sasso

fonti:

Festinger, L. (1957). A theory of cognitive dissonance (Vol. 2). Stanford university press.

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