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K2-10 b: come facciamo a sapere che c’è acqua nell’atmosfera d’un pianeta extrasolare?

K2-10 b, il “pianeta con l’acqua”, fu scoperto dal telescopio spaziale Kepler nel 2015 ed è oggetto di studi approfonditi per la sua posizione e composizione: si tratta d’un corpo roccioso, un pianeta di tipo terrestre, dal diametro doppio rispetto a quello del nostro pianeta, una massa otto volte superiore e si suppone lo sia di conseguenza anche anche la gravità ma ciò non dovrebbe costituire un impedimento alla presenza e sviluppo di forme di vita: da noi ne abbiamo via via trovate in luoghi a lungo ritenuti assolutamente inospitali.

Va precisato che al momento non vi sono indicazioni in tal senso, ma la presenza di acqua allo stato liquido costituisce il presupposto ideale, ragione dell’importanza della scoperta.

Il pianeta orbita intorno a K2-10 (da qui il nome K2-10 b, naturalmente), una nana rossa situata a 110,9 anni luce da noi e più piccola del Sole, in questo caso un terzo della sua massa con un diametro di poco inferiore alla metà.

Un suo anno dura 33 giorni, poco più di un nostro mese, ed è molto più vicino alla propria stella di quanto lo sia la Terra al Sole. Tuttavia essendo le nane rosse più fredde K2-10 b si trova all’interno della fascia abitabile, nota anche come zona Riccioli d’Oro (Goldilocks zone, in inglese) con riferimento alla fiaba in cui la ragazzina giunta nella casa dei tre orsi gusta una zuppa né troppo calda, né troppo fredda. Si tratta della distanza da una stella (variabile in base alla tipologia della stella stessa) in cui l’acqua può sussistere allo stato liquido: troppo vicino e l’acqua evaporerebbe, troppo lontano e ghiaccerebbe.

E su K2-10 b l’acqua sarebbe sottoposta a un ciclo di evaporazione e pioggia proprio come da noi. È la prima volta che un simile fenomeno viene individuato in un pianeta di tipo terrestre all’interno della fascia abitabile del proprio sistema stellare.

Ma come fanno i ricercatori a sapere di cosa sia composta l’atmosfera d’un pianeta così lontano da noi? Grazie alla spettroscopia.
Isaac Newton nei suoi esperimenti rilevò come un raggio di luce che attraversa un prisma di vetro risulti scomposto, proiettando una sorta di striscia suddivisa in bande colorate.

All’interno di queste bande sono tuttavia presenti delle linee nere, osservate per la prima volta dal chimico inglese William Hyde Wollaston e in seguito studiate in modo approfondito e catalogate dal fisico tedesco Joseph von Fraunhofer (ancora oggi si parla infatti di Linee di Fraunhofer).

Gustav Robert Kirchhoff e Robert Wilhelm Bunsen si resero poi conto della relazione fra queste righe e gli elementi chimici: ogni elemento chimico assorbe frequenze di luce ben precise oscurandole e causando quindi la presenza delle linee nere a interrompere la sequenza nello spettro luminoso. Analizzando la luce del Sole si notano per esempio delle linee nere in corrispondenza delle frequenze assorbite dall’idrogeno e dall’elio poiché questi due elementi sono presenti nell’astro.

Le tecniche sono oggi naturalmente assai più perfezionate e possiamo inoltre analizzare anche l’ampio spettro non visibile a occhio nudo.
In questo modo è possibile determinare con accuratezza la composizione di stelle lontanissime.

È stato necessario affinare ancor di più la tecnica per il difficilissimo passo successivo: quando un pianeta transita di fronte alla propria stella (rispetto al nostro punto di vista), possiamo analizzare la luce che attraversa l’atmosfera del pianeta stesso (se presente) e, in base alle linee di assorbimento rilevate, stabilire di quali elementi chimici sia composta.

Ciò ha permesso, in base della conoscenza delle modalità di interazione fra i vari elementi e di modelli scientifici consolidati, di ipotizzare la presenza di acqua allo stato liquido e gassoso, il ciclo di evaporazione e condensazione con vere e proprie piogge oggetto del fermento mediatico.

Naturalmente, come da prassi scientifica, alla pubblicazione dei risultati della ricerca seguiranno le indispensabili verifiche indipendenti; ma senza dubbio K2-10 b godrà grazie alle proprie caratteristiche peculiari del privilegio dei riflettori e dell’approfondimento delle ricerche negli anni a venire, anche attraverso nuovi e più potenti strumenti come il telescopio spaziale Webb, il successore dell’Hubble che è stato peraltro la fonte della informazioni sull’atmosfera del pianeta.

Di Corrado Festa Bianchet

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