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I graffiti di un tempio rivelano per la prima volta la storia dell’antico Sudan (II parte)

I graffiti di El-Kurru sono stati rinvenuti durante uno scavo archeologico organizzato dal Museo Kelsey su una piramide e in un tempio sotterraneo.

Segnare il luogo e il tempo

El-Kurru era un cimitero reale per i re della dinastia Napatan, che governò anche l’Egitto durante la venticinquesima dinastia, ma i graffiti risalgono anche a diverse centinaia di anni dopo la reggenza dei re.

A quel punto le piramidi, così come il tempio funerario, erano parzialmente abbandonate, ma la gente comune visitava lo stesso il sito e incideva i graffiti.

I graffiti includono chiari simboli dell’antica Kush, come il montone, che rappresentava la forma locale del dio Amon, e un arciere a gambe lunghe che simboleggiava l’abilità dei kushiti nel tiro con l’arco.

Ci sono anche intricati disegni tessili e animali, tra cui bellissimi cavalli, uccelli e giraffe.

I segni più comuni però sono dei piccoli fori rotondi scavati nella pietra.

Per analogia con le pratiche moderne, questi sono probabilmente i punti in cui i visitatori del tempio hanno raschiato via il muro sacro per raccogliere pietre in polvere che avrebbero ingerito per promuovere la fertilità e la guarigione.

La preservazione dei graffiti di El-Kurru: il lavoro degli archeologi

I graffiti di El-Kurru sono scolpiti su una morbida arenaria, che viene lentamente erosa dal tempo. Il sito, trovandosi in un ambiente ventoso e desertico, è spesso soggetto alle tempeste di sabbia e a volte riceve temporali periodici talmente forti da provocare inondazioni.

Così come la pietra in superficie viene consumata da questi elementi, lo stesso succede ai graffiti. E, per gli archeologi, è sempre più difficile proteggere i siti come El Kurru, perché non solo le attività di conservazione sono molto costose, ma in Sudan sono ancora più rischiose a causa dell’economia fragile e degli sconvolgimenti sociali e politici che stanno attraversando il Paese.

Uno dei primi passi che sono stati fatti, questo nel caso dei graffiti di El-Kurru, è il coinvolgimento della popolazione locale nelle attività di conservazione e la stuccatura delle fessure presenti nelle strutture in cui sono stati incisi.

Ciò impedisce all’acqua di penetrare nelle fessure e di intaccare le superfici scolpite, ma oltre a ciò, gli archeologi hanno cominciato ad adottare la tecnica della trasformazione della riflettanza.

Questa tecnica, che è molto utilizzata in fotografia, vede una fotocamera praticamente ferma, focalizzata su un unico graffito, che scatta 50 foto digitali. Il fotografo, durante l’esecuzione, posiziona una luce intensa in modo tale che brilli sulla superficie da un’angolazione diversa in ogni foto.

Il software riunisce quindi tutte le foto e, il file risultante, consente all’utente di riprodurre la luce sull’immagine da qualsiasi angolazione.

Ci sono due vantaggi in questo tipo di documentazione. Innanzitutto è una forma di conservazione digitale, perché se un giorno i graffiti dovessero andare persi, o venissero danneggiati, ci sarebbe comunque un’ottima registrazione e testimonianza di com’erano.

In secondo luogo i file digitali permettono alle persone di studiare e di godersi i graffiti, anche se non possono recarsi sul sito. Inoltre, la capacità di manipolare la luce in ogni direzione, consente loro di studiare ciascun graffito in un modo che risulterebbe impossibile con la luce naturale.

Questa documentazione accurata ha permesso agli studiosi, e agli archeologi, di studiare più da vicino i graffiti di El-Kurru e di scoprire alcuni aspetti della vita quotidiana che si svolgeva nell’impero Kush.

Sebbene alcuni graffiti rimangano misteriosi, ce ne sono altri che forniscono molte informazioni sulla vita delle persone non nobili o agiate che vivevano nella zona, come ad esempio le loro credenze religiose, come si spostavano e l’importanza rivestita da alcuni simboli culturali – anche se ancora adesso non conosciamo il significato di tutti questi simboli.

Di Francesca Orelli

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