Ricostruiti i muscoli di Lucy, l’australopiteco vissuto tre milioni di anni fa

L’Australopithecus afarensis è indubbiamente la specie di ominidi che vanta il più famoso dei singoli individui, quella Lucy scoperta nel 1974 ad Hadar, nella depressione della Dancalia (chiamata anche Triangolo di Afar) etiope e oggi la dottoressa Ashleigh Wiseman, ricercatrice presso il McDonald Institute for Archaeological Research dell’Università di Cambridge, ne ha ricostruito i muscoli degli arti inferiori.

Si tratta della prima volta che i tessuti molli mancanti di un ominide vengono visualizzati in un modello 3D: ciò è stato possibile grazie alle tecnologie di elaborazione digitale applicate alle scansioni dei resti fossili di Lucy.

Il gruppo di ricerca che vedeva come condirettori Yves Coppens, Donald Johanson, Maurice Taïeb recuperò il 40% dello scheletro, in seguito datato 3,2 milioni di anni, di quella che si sarebbe rivelata una nuova specie di australopiteco e questo lo rende uno degli esemplari meglio conservati mai portati alla luce. Iconico ne divenne il nome, ispirato alla canzone dei Beatles Lucy in the Sky with Diamonds che i ricercatori stavano ascoltando al momento della scoperta.

Schemi tridimensionali delle gambe di Lucy
La ricostruzione completa paragonata allo schema delle cicatrici, i punti di collegamento fra i muscoli e le ossa rilevate sui resti fossili (Credit: Dr Ashleigh Wiseman)

Lucy era un’adulta, probabilmente di 18 anni, alta un metro per un peso di almeno 28 chili

L’Australopithecus afarensis aveva un aspetto che reputeremmo ancora più simile a una moderna scimmia che a un essere umano, ma si ritiene fosse in grado di camminare in posizione eretta pur mantenendo l’abilità di muoversi agevolmente sugli alberi, una capacità di adattamento che lo portò a sopravvivere come specie per un milione di anni.

Il modello tridimensionale di 36 muscoli per ciascuna gamba rivela in effetti una massa nella maggior parte dei casi superiore all’equivalente nei moderni essere umani, fino anche al doppio nel caso delle cosce e dei polpacci; inoltre in Lucy la struttura era costituito al 74% da tessuto muscolare mentre noi arriviamo al 50% (la parte restante consiste in grasso).

Lo studio potrà aiutare a dar risposta a uno degli interrogativi che attualmente dividono i ricercatori: come camminava Lucy? La sua andatura era accovacciata e ondeggiante, paragonabile a quella dei moderni scimpanzé, come sostengono alcuni, oppure era più simile al bipedismo eretto umano, come ritengono altri?

In tempi recenti la ricerca propende verso quest’ultima ipotesi e anche lo studio odierno sembra confermarlo, evidenziando muscoli estensori del ginocchio in grado di creare una leva con la capacità di raddrizzare le articolazioni proprio come negli esseri umani.

Ricostruzione di Lucy
Lucy in una ricostruzione esposta presso il Museo Nacional de Antropología in Messico (CC BY-SA 4.0)

“La capacità di Lucy di camminare eretta può essere conosciuta solo ricostruendo il percorso e lo spazio che un muscolo occupa all’interno del corpo” – dottoressa Ashleigh Wiseman

Lucy doveva quindi essere una bipede che restava comunque a suo agio anche fra gli alberi mostrando un’andatura non riscontrabile in alcuna creatura odierna. Questo adattamento sarebbe coerente con lo scenario in cui viveva l’Australopithecus afarensis, un’alternanza di ampie praterie e fitta boscaglia che caratterizzava l’Africa orientale di tre o quattro milioni di anni fa.

Dal modello della struttura scheletrica di Lucy ricavata dallo scan del fossile si è potuto stabilire l’asse di rotazione delle articolazioni, capendo le direzioni e il modo in cui potevano muoversi; la sovrapposizione della mappatura della struttura muscolare di un uomo e di una donna di oggi, un modello tridimensionale ottenuto grazie a TAC e risonanza magnetica, hanno permesso di mappare i percorsi muscolari e sfruttando altri indizi come le cicatrici muscolari (i punti di collegamento fra muscolo e osso) di cui rimaneva traccia nei resti fossili si è costruito un modello muscoloscheletrico digitale.

Studi analoghi sono già state applicati ad altri esseri estinti come i dinosauri, permettendoci per esempio di capire in che modo potesse camminare, correre e cacciare il T. Rex: «Applicando tecniche simili agli umani ancestrali vogliamo rivelare lo spettro del movimento fisico che ha spinto la nostra evoluzione, comprese quelle capacità che abbiamo perso» conclude Wiseman, che ci tiene a sottolineare l’importanza nella ricerca scientifica dell’open access applicato alla scienza, senza il quale questa ricerca non sarebbe stata possibile.

Fonte: Three-dimensional volumetric muscle reconstruction of the Australopithecus afarensis pelvis and limb, with estimations of limb leverage,
Ashleigh L. A. Wiseman, Royal Society Open Science (2023).

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