La Storia della Filosofia Occidentale – Capitolo II: Anassimandro

Anassimandro nacque intorno al 610 a.C., e fu concittadino di Talete. Rispetto a quest’ultimo, fu autore di alcuni scritti filosofici. Fu il primo, nel suo “Intorno alla natura”, ad utilizzare il termine arché per descrivere il principio di tutte le cose.

Per Anassimandro, però, questo non consiste in un particolare elemento (come era stata l’acqua per Talete), ma nell’infinito o indeterminato (ápeiron), dal quale tutto origina e nel quale tutto si dissolve dopo un ciclo prestabilito.

Il principio a cui si fa riferimento è divino, poiché immortale e indistruttibile, e abbraccia e governa ogni cosa. Anassimandro ci tiene a precisare che l’ápeiron non consiste in una miscellanea degli elementi, ma in una materia in cui gli elementi stessi non sono tali, perché non ancora distinti. Da qui la sua indefinitezza.

Questa sostanza infinta, animata da un eterno movimento, attraverso un meccanismo di separazione divide gli opposti come caldo e freddo. La generazione dei mondi che si susseguono, e del tempo che scandisce i loro cicli di vita e di morte, avrebbe alla base proprio questo processo. La separazione è infatti propria degli esseri finiti, i quali sono diversi e contrastanti, destinati alla morte e quindi al ritorno all’unità.

La nascita dell’universo viene quindi concettualizzata come una separazione tra caldo e freddo, che continuano una lotta infinita generando il secco e l’umido, e di conseguenza le stagioni.

Non a caso, secondo Anassimandro, nessuno dei quattro elementi (fuoco, acqua, terra, aria) può costituire l’essenza primordiale dell’universo, perché in quel caso il predominio di uno determinerebbe la scomparsa degli altri. In tal senso l’ápeiron costituirebbe un elemento sovraordinato, in grado di gestire e di confinare gli elementi, evitando la supremazia del singolo.

A loro volta gli elementi, intenti a cercare di prevaricare sugli altri, troverebbero una corrispondenza negli dei, contraddistinti da tratti tipicamente mortali come l’invidia e la prepotenza.

Suggestiva rimane la descrizione di Anassimandro del Mondo e di cosa lo circonda. La Terra sarebbe un enorme cilindro di pietra, largo e basso, al centro dell’Universo. Essendo al centro, il Mondo si troverebbe ad una distanza identica in tutte le direzioni, e quindi non sarebbe spinto a muoversi verso nessuna di esse.

Delle ruote di fuoco foderate girerebbero intorno alla Terra, e gli astri non sarebbero altro che dei buchi in questo rivestimento, in grado di far scorgere il fuoco all’interno delle ruote. Questa visione ci viene documentata da Plutarco:

“…dice che la terra ha forma cilindrica e altezza corrispondente a un terzo della larghezza. Dice che quel che dall’eterno produce caldo e freddo si sparò alla nascita in questo mondo e che da esso una sfera di fuoco si distese intorno all’aria che avvolgeva la terra, come corteccia intorno all’albero: spaccatasi poi questa sfera e separatasi in taluni cerchi, si formarono il sole, la luna gli astri. Dice pure che da principio l’uomo fu generato da animali di altra specie”

Gli uomini vengono concettualizzati come esseri originari della natura, della quale si nutrono e senza la quale non sarebbero potuti mai sopravvivere. Anticipando in parte le teorie evoluzioniste di quasi 2.500 anni, Anassimandro rintraccia l’origine dell’uomo negli animali. Gli esseri umani sarebbero nati dentro i pesci, che li avrebbero nutriti fino a renderli abbastanza robusti da poter prendere possesso della terra.

di Daniele Sasso

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2 commenti su “La Storia della Filosofia Occidentale – Capitolo II: Anassimandro”

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