Il termine sofista, almeno nella Atene del V secolo a.C., non era certo un complimento. A dispetto delle epoche passate, nel corso delle quali l’attributo sophistés (“sapiente”) veniva riservato a personaggi con esperienza ed un’ampia cultura come i Sette Savi o Pitagora.
I sofisti a cui faremo riferimento, invece, vennero accusati (in particolar modo da Platone ed Aristotele) di essere falsi sapienti dediti a ragionamenti capziosi ed al guadagno.
Senofonte, addirittura, vi fa riferimento come “prostituti della cultura”. Anche oggi, si tende ad utilizzare il termine sofistico per definire ragionamenti artificiosi e spesso non veritieri.
L’interesse maggiore, per i sofisti, fu indubbiamente quello in ambito politico, così come per tutto ciò che riguardasse leggi, educazione e religione; questo, di pari passo con la trasformazione della società ateniese, sotto Pericle, in un popolo dedito a scambi commerciali allargati e maggiormente potente nella borghesia cittadina.
L’elogio della Atene democratica di Pericle
Da questo punto di vista, viene considerato emblematico l’elogio della democrazia contenuto in una orazione funebre pronunciata da Pericle alla fine del primo anno della guerra del Peloponneso, nel 430 a.C.:
“Noi abbiamo una forma di governo che non guarda con invidia le costituzioni dei vicini, e non solo non imitiamo altri, ma anzi siamo noi stessi di esempio a qualcuno. Quanto al nome, essa è chiamata democrazia, poiché è amministrata non già per il bene di poche persone, bensí di una cerchia più vasta: di fronte alle leggi, però, tutti, nelle private controversie, godono di uguale trattamento; e secondo la considerazione di cui uno gode, poiché in qualsiasi campo si distingua, non tanto per il suo partito, quanto per il suo merito, viene preferito nelle cariche pubbliche; né, d’altra parte, la povertà, se uno è in grado di fare qualche cosa di utile alla città, gli è di impedimento per la sua oscura posizione sociale.”
Il lavoro dei sofisti: dalla retorica alla divulgazione della cultura
Risulta evidente come, in un contesto animato da assemblee nelle quali l’orazione era tutto, il corretto uso delle sfumature del linguaggio e la capacità di portare acqua al proprio mulino potessero fare la differenza nel peso delle opinioni che si scontravano nell’ecclesia, dove di fatto venivano gestite le relazioni estere, il potere legislativo e quello giudiziario.
I sofisti, profondi conoscitori dell’eloquenza e veri e propri artisti nel suscitare consensi attraverso strutture sintattiche congegnate per catturare l’attenzione di chi ascolta, si offrivano di insegnare le loro stesse doti al ceto dirigente sotto lauto pagamento.
La retorica veniva impartita attraverso lezioni pregne di suggerimenti che andavano dalla grammatica e la semantica a trucchi per vincere un’argomentazione, ricordando in un certo senso il ruolo dei moderni spin doctor, ovvero i consulenti che gestiscono la comunicazione dei politici.
Il piglio razionale e la critica atta a liberare l’uomo dalle credenze dei miti e della religione hanno spesso permesso di definire la Sofistica come un “illumismo greco”.
Inoltre, il concetto stesso di cultura è stato rivoluzionato dai sofisti, secondo i quali l’educazione e la divulgazione necessitassero di essere coltivati costantemente, di pari passo con la vita nelle sue connotazioni più pratiche.
di Daniele Sasso
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