La Storia della Filosofia Occidentale – Capitolo VI: Senofane e Parmenide

Senofane di Colofone è considerato da una parte degli studiosi il primo filosofo dell’Eleatismo. Questa nuova filosofia, nata nelle colonie greche dell’Italia meridionale, differiva rispetto alla ricerca tipicamente ionica dei principi fisici di tutte le cose.

Piuttosto, l’obiettivo era diventato quello di giungere alla concettualizzazione di un Essere unico che trascendesse i sensi e le mere manifestazioni della realtà. Senofane critica quindi l’antropomorfismo religioso incoraggiato da poeti come Omero e Esiodo, i quali avevano provocato l’attribuzione errata di vizi mortali alle divinità.

Anche il politeismo subisce un forte colpo: di divinità ce n’è solo una ed è identificabile con l’universo, il quale non nasce e non muore, ma rimane sempre lo stesso.

Più famoso del suo predecessore fu sicuramente Parmenide, riconosciuto come il fondatore della scuola eleatica e vissuto in un periodo tra il 550 e il 450 a.C.. Le strade che l’uomo può seguire, secondo il filosofo di Elea, sono sostanzialmente due.

Da una parte c’è il sentiero della verità (alétheia), il quale si basa sulla ragione e conduce alla conoscenza dell’Essere vero. Il sentiero dell’opinione (dòxa), invece, si basa sui sensi e permette di arrivare soltanto all’Essere apparente.

Il nostro pensiero e il nostro linguaggio devono seguire quindi la via della ragione, secondo la quale l’essere è e non può non essere, mentre il non essere non è e non può essere.

“Infatti, questo non potrà mai imporsi: che siano le cose che non sono! Ma tu da questa via di ricerca allontana il pensiero, né l’abitudine, nata da numerose esperienze, su questa via ti forzi a muovere l’occhio che non vede, l’orecchio che rimbomba e la lingua, ma con la ragione giudica la prova molto discussa che da me ti è stata fornita”.

L’essere possiede degli attributi specifici: è ingenerato e imperituro, poiché se nascesse e morisse questo implicherebbe in qualche modo il non-essere. È quindi eterno, non sarà e non era, ma semplicemente è.

Gli altri attributi riguardano l’immutabilità, l’immobilità, l’unicità, l’omogeneità e la finitudine, tutti inerenti all’impossibilità, da parte dell’essere, di esser passato da stati o intervalli nei quali non-è.

Il mondo che ci circonda, seguendo il ragionamento di Parmenide, risulta come un’illusione che implica il non essere:

“Perciò tutti i nomi saranno quelli che hanno posto i mortali, credendo che fossero veri: nascere e perire, essere e non essere, cambiare luogo e mutare luminoso colore”.

La dottrina dualistica di Parmenide attinge quindi non solo al dio-tutto di Eraclito, ma anche al contrasto tra limitato e illimitato di Pitagora, espresso nella contrapposizione tra luce e notte.

“Ma dal momento che tutto è denominato luce e tenebra e queste, secondo le loro attitudini sono applicate a questo e a quello, tutto è pieno insieme di luce e di tenebra invisibile, pari l’una e l’altra, perché né con l’una né con l’altra c’è il nulla”.

Ma alla via della verità assoluta (alétheia) e a quella dell’opinione ingannevole (dòxa), secondo un’interpretazione diversa, se ne aggiungerebbe una terza.

Questa terza strada sarebbe rappresenterebbe l’opinione plausibile, che si accosta in modo improprio alla verità, non violando però il principio di non contraddizione, escludendo quindi il non-essere.

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