La pareidolia (Parte II): volti ed illusioni tra arte e psicologia

La capacità degli esseri umani di vedere configurazioni visive anche dove queste non sono presenti è stata spesso sfruttata, nel corso dei secoli, per realizzare opere artistiche che si avvantaggiassero proprio di questo genere di distorsione cognitiva.

Il Trattato della pittura, codice del XVI secolo basato sulle annotazioni di Leonardo da Vinci, fornisce un buon sunto del fenomeno:

“E questo è: se tu riguarderai in alcuni muri imbrattati di varie macchie o pietre di vari misti, se arai a inventionare qualche sito, potrai lì vedere similitudine de’ diversi paesi, ornati di montagnie, fiumi, sassi, albori, pianure, grandi valli e colli in diversi modi; ancora vi potrai vedere diverse battaglie e atti pronti di figure, strane arie di volti e abiti e infinite cose, le quali tu potrai ridurre in integra e bona forma. E interviene in simili muri e misti come del sono di campane, che ne’ loro tocchi vi troverai ogni nome e vocabulo che tu imaginerai”.

Tra gli artisti più famosi che hanno giocato sulla percezione di volti composti da oggetti comuni bisogna sicuramente annoverare Giuseppe Arcimboldo. Le facce composte da ortaggi e frutta del pittore milanese sono state addirittura utilizzate per studiare il riconoscimento dei visi.

È stato riscontrato come una rotazione di 180° della configurazione che formerebbe il volto impedisca al cervello di riconoscere una faccia. La classica struttura a T formata da naso e occhi non sarebbe più sufficiente proprio perché non più comprensibile. A questo punto un banale cesto di frutta rimarrebbe solo… un cesto di frutta.

Altri esempi di lavori artistici che hanno strizzato l’occhio alla pareidolia sono quelli realizzati dal genio di Salvador Dalì. Nel dipinto Viso Paranoico, del 1937, alcuni personaggi riuniti intorno ad una capanna formano il volto di una donna. Nella Madonna degli uccelli, del 1943, il volto della Vergine Maria è composto da uno stormo di volatili.

Infine, un perfetto esempio di come arte e psicologia possano mescolarsi per scopi clinici è rintracciabile nel celebre test di Rorschach. Le dieci macchie furono realizzate agli inizi del ‘900 dopo innumerevoli prove, per poi essere presentate in un determinato ordine chiedendo ai soggetti a cosa assomigliassero.

Ancora oggi, attraverso questo test proiettivo è possibile indagare la personalità degli individui, comprendendo il funzionamento del pensiero, l’esame di realtà e i possibili disagi dal punto di vista affettivo, nei confronti delle proprie relazioni e di sé stessi.

In conclusione, è possibile affermare come siano molteplici i campi nei quali la pareidolia, uno strumento inizialmente fornitoci dalla natura per sopravvivere, possa essere impiegata sfruttando al massimo la creatività e la fantasia del genere umano.

di Daniele Sasso

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2 commenti su “La pareidolia (Parte II): volti ed illusioni tra arte e psicologia”

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  2. Gaetano Barbella

    E se vi mostrassi un mondo in cui la pareidolia va a braccetto con la topografia terrestre, attraverso vie, fabbricati, corsi d’acqua e altro di centri urbani, per esempio?
    Sin dal 1997 ho disegnato molte configurazioni del genere che appaiono come scenari allegorici interpretabili in stretta relazione – mettiamo – con fatti storici. Come a immaginare che la vita sulla terra lascia in tal modo la sua traccia, quasi che fosse una sorta di corteccia cerebrale terrestre.
    Allego due link di miei scritti in merito pubblicati sul web:
    https://www.ergane.org/2020-10-universo-piccolo-con-la-fantasia.html
    https://www.esonet.it/News-file-article-sid-1513.html

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