La paleoclimatologia, ovvero lo studio del clima del passato della Terra

Oggi abbiamo reti di satelliti e sensori a terra in grado di monitorare costantemente il clima del nostro pianeta, ma come facciamo a sapere quali fossero le condizioni nei secoli, millenni o milioni di anni precedenti?

Le variazioni climatiche repentine, eventi in grado di cambiare il clima globale nel corso di una vita umana, si sono sempre verificate in concomitanza con le ere glaciali, mai durante periodi di stabilità climatica.

I ricercatori tengono sotto controllo l’evoluzione dei ghiacciai alpini, sensibili sentinelle del clima che cambia. L’accelerazione nella fusione dei ghiacci negli ultimi trent’anni è senza precedenti per quantità e intensità, con innalzamento delle temperature durante i mesi estivi e diminuzione delle precipitazioni rilevate “dal vivo” nel corso di 125 anni di monitoraggio.

Le prime registrazioni scientificamente precise in questo campo di ricerca risalgono in realtà all’invenzione del termometro, nel Diciassettesimo Secolo, ma l’uso dei cosiddetti proxy climatici, parametri chimico fisici attraverso l’analisi degli anelli di accrescimento degli alberi (dendrocronologia), sedimenti marini o lacustri, carotaggio nei ghiacci, ci consente di risalire molto più indietro nel tempo.

Le piante reagiscono ciascuna in modo peculiare in base alle condizioni climatiche, alcune specie sono per esempio più sensibili alle temperature, altre alle precipitazioni. La sequenza degli anelli, nella sua variabilità, sorta di codice a barre, ci dice di anni senza estate o senza inverno. I campionamenti avvengono principalmente su alberi secolari prossimi ai ghiacciai, in alta quota nelle zone più sensibili ai cambiamenti climatici.

Perché la comunità scientifica è ragionevolmente certa del fattore umano nell’influenza della CO2 e altri gas serra sul clima globale?
L’anidride carbonica trattiene la radiazione infrarossa che l’atmosfera altrimenti riemetterebbe verso l’esterno; questo effetto serra è noto da almeno due secoli e addirittura già a inizio Novecento si era ipotizzato che un raddoppio dell’anidride carbonica rispetto alla quantità presente prima dell’inizio della rivoluzione industriale avrebbe portato a un incremento nella temperatura globale di quattro o cinque gradi: ciò è effettivamente confermato dai modelli attuali.

Con i carotaggi nei ghiacci delle zone polari e lo studio delle bolle d’aria in essi intrappolate possiamo ottenere misure relative agli ultimi 800mila anni con un notevole grado di accuratezza, permettendoci di sapere che la presenza di anidride carbonica nell’atmosfera ha oscillato, in questo lasso di tempo, dalle 180 parti per milione nei periodi più freddi alle 280 parti per milione nei periodi più caldi.
Oggi siamo oltre le 400 parti per milione.

Un precedente dovrebbe in particolare far riflettere:
negli anni 50 il geochimico americano Clair Cameron Patterson stava tentando di determinare l’età della Terra esaminando gli isotopi di piombo e uranio presenti nei meteoriti, formatisi con la nascita del sistema solare; fu tuttavia sorpreso nel rilevare come ogni campione risultasse immancabilmente contaminato dal piombo.

Dopo mille difficoltà riuscì a risolvere il problema e portare fruttuosamente a termine la ricerca, ma scoprì anche che il piombo permeava l’intera atmosfera con conseguenti effetti nefasti sulla salute umana.

Lo studio di “carote” di ghiaccio prelevate in Groenlandia confermava che la presenza di questo pericoloso inquinante nell’aria non era naturale come sostenuto dalle grandi aziende legate all’industria automobilistica, ma l’apparizione e il rapido, costante incremento coincidevano con la data di messa in commercio del piombo tetraetile, usato come antidetonante nella benzina a partire dal 1923. La battaglia di Patterson fu lunga ed estenuante, dovette subire la forza e il boicottaggio di autentici colossi industriali, ma alla fine la validità delle sue ricerche fu riconosciuta.

E da quando la benzina al piombo fu definitivamente bandita, a metà anni 80, la presenza di piombo nell’aria iniziò a calare drasticamente, confermando anche la solidità del metodo di ricerca basato sul carotaggio dei ghiacci artici. Validità di cui non si può non tenere conto anche nelle ricerche attuali che coinvolgono principalmente la CO2.

[Foto Heidi Roop, NSF]

Di Corrado Festa Bianchet

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